Le rovine di una civiltà

«Mi lamento spesso di un comportamento ultimamente in uso, cioè dell’insulto ululato. Ormai è cosa diffusissima. Nessuno più durante una discussione si alza modello camera dei lord e dice: “Sir Arthur, Lei è una cacca atomica”. E Sir Arthur replica “anche Lei Sir Anthony è una cacca atomica, con l’aggravante di essere anche scozzese”. Insomma, un insulto di classe. Ora ci si sputa in faccia in ogni momento per qualunque motivo. Nessuno sa fare più una bella rissa verbale educata e forbita.

Purtroppo la maleducazione è declinata in ogni luogo e in ogni lago. Nei marciapiedi affollatissimi di una città trasandata e fuori forma, gruppi di scolaresche seguono stressatissimi professori; la maggior parte dei giovani se ne frega altamente di camminare in mezzo alle preziose bellezze che tutti ci invidiano, molto più colpiti dalle vetrine di marchi famosi che dalle fontane magari scolpite da Bernini. Intercettarli significa aspettare che tutti passino prima di riuscire a raggiungere la propria meta, perché nessuno, dico nessuno, si ferma per dare il passo. Questo perché nessuno ha detto loro cosa significhi “dare il passo”. Masticano gomme e sono tutti uguali, vestiti uguali; lo spiritoso del gruppo scherza in modo greve misurando il gradimento dei suoi colleghi con le risate che riesce a suscitare, magari cadenzando con qualche sana parolaccia.

Che tristezza; mi chiedo, perché non proibiscono questo uso barbaro della città d’arte. Io, al colmo di un eccesso di democrazia, farei le visite a Roma solo per invito e dopo appropriato studio del curriculum del richiedente. Certo è che gli albergatori romani si risentirebbero; e io direi “machissenefrega”, la città è distrutta da questi inutili esseri che sono chiassosi e ingombranti e soprattutto invadenti.

Ma nel nostro Paese, pochi si mettono da parte per il bene comune – io ne conosco solo un paio – e mi viene alla mente un vecchio signore candidato Sindaco di un paesino del Sud, uno dei borghi più belli d’Italia. “Sento forte l’idea di adoperarmi in prima persona per rimettere insieme la comunità” questa la motivazione. È confortante vivere in un posto dove i cari vecchietti si sacrificano per il bene della Patria (lasciando da parte la gioia di una sana partita a bocce con i coetanei), per il bene comune. Commovente direi. Certo è che se io fossi giovane sarei emigrata in altri lidi già da tempo.

Penso con tenerezza agli ultimi anni di vita di persone straniere che hanno fatto la storia; gente che si è messa a scrivere libri o a fare conferenze; qualcuno più giovanile è diventato consulente di qualche multinazionale, ma nessuno mai ha sentito il bisogno di tornare in pista per il bene comune; o perlomeno nessuno ha avuto l’audacia di farlo, timoroso che la decisione potesse essere accolta a sberleffi.

Ma il nostro è il Paese dove non si pone mai fine al peggio, specie se d’antan.»

©Futuro Europa®

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