Accordi USA-EU: chi ha ragione?
Nell’attesa di sapere come si concluderanno i negoziati USA-EU, c’è già chi s’interroga su quale sarà l’impatto economico del partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP). L’accordo è volto a rimuovere le barriere che ostacolano l’acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti.
Secondo uno studio realizzato dal Cepr di Londra (Centre for Economic Policy Research) e commissionato dalla Commissione europea, l’abbattimento delle “barriere non tariffarie” comporterà un taglio netto dell’80% delle spese burocratiche e maggiori economie di scala derivanti dall’armonizzazione dei regolamenti attualmente vigenti per il commercio transfrontaliero (specialmente in campo chimico o agro-alimentare). Il tutto dovrebbe tradursi in un’iniezione di liquidità pari a 119 miliardi di euro l’anno per l’Unione europea (circa 545 euro a famiglia) e 95 miliardi per la controparte americana. In termini di crescita, il Cepr stima inoltre che l’accordo contribuirà a far crescere il PIL dello 0,5% per la sola Unione europea, rendendo così più vicina l’uscita dallo stato di crisi che dal 2009 attanaglia l’Eurozona.
In particolare per il nostro Paese, l’intesa significa il riconoscimento delle eccellenze eno-gastronomiche made in Italy, che, in mancanza di maggiore regolamentazione del settore, continua ad essere penalizzato a favore di prodotti americani finto-italiani. Come riporta il Sole 24 Ore, “l’industria del food tricolore beneficerebbe anche di controlli fito-sanitari meno stringenti, per esempio sui salumi, e di dazi più contenuti”. I benefici non dovrebbero, però, riguardare solamente le due controparti coinvolte nel partenariato, ma avere un impatto positivo anche sull’economia mondiale: meno controlli, meno burocrazia, più esportazioni e più guadagni per tutti (il Cepr parla di 100 miliardi di euro).
Non tutti però sono dello stesso avviso. L’Öfse, uno dei più autorevoli centri di ricerca austriaci, sostiene infatti che lo studio del Cepr e in generale tutti quelli a favori del TTIP presentano “gravi omissioni ed errori metodologici che enfatizzano i presunti benefici dell’accordo”, ignorandone i rischi connessi. Secondo i ricercatori austriaci è plausibile attendersi un aumento delle esportazioni, ma solamente a vantaggio dei grandi gruppi industriali e non certo delle PMI come si afferma nel report del Cepr. Inoltre, la vendita di prodotti americani a basso costo potrebbe ridurre fino al 30% il commercio intra-europeo, a scapito soprattutto delle economie meno export-oriented. A parere dell’Öfse, il TIPP risulterebbe così com’è stato formulato incompatibile con gli impegni presi dall’Unione europea per promuovere la Coerenza delle Politiche per lo Sviluppo.
Per quanto riguarda invece le previsioni sull’aumento del PIL e dei salari reali, l’Öfse frena gli entusiasmi affermando che l’aumento del PIL oscillerà fra lo 0,3 e il 1,3%, ma su un orizzonte di lungo termine di 10-20 anni. Stime al ribasso anche sul fronte dell’occupazione, per cui l’Öfse prevede “un aumento significativo della disoccupazione durante il periodo di transizione a causa della riorganizzazione dei mercato del lavoro nazionali”. Infine, l’eliminazione delle barriere non tariffarie produrrà un costo sociale altissimo per la collettività (si pensi per esempio agli standard minimi previsti in materia di sicurezza alimentare e diritti dei lavoratori), che a conti fatti – sempre secondo il punto di vista critico dell’Öfse – provocherà una perdita annua di 2,6 miliardi di euro sui bilanci dell’Unione europea.
Di fronte a queste due diverse posizioni è legittimo chiedersi: Dove sta la verità? Quanto pesano le posizione anti-europeiste sul dibattito TIPP a poche settimane dalle elezioni? Interrogativi che rimangono aperti almeno fino a quando non si potranno dirsi concluse le negoziazioni.
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