Nymphomaniac 2 (Film, 2014)

Nymphomaniac volume 2 di Lars Von Trier comincia nel preciso istante in cui si conclude la prima parte, senza soluzione di continuità. Joe è interpretata da due attrici: Charlotte Gainsbourg da adulta, e Stacy Martin per le parti in cui è ancora una ragazzina. Jerome da giovane ha il volto di Shia LeBeouf, poi è Michael Pas. Logico che in questa parte siano i secondi in primo piano nella maggior parte delle scene, perché il regista affronta l’età adulta di Joe e approfondisce il dramma interiore. Prosegue la confessione di una donna che racconta una vita eccessiva a un intellettuale, impegnato a rispondere con parafrasi e considerazioni filosofiche. Non mancano i flashback sul passato, Joe ricordo il solo orgasmo naturale della sua vita, da bambina, accompagnato da una visione celestiale, che il professore spiega con una narrazione blasfema, stile Bergman. A suo parere Joe non avrebbe visto la Vergine Maria, ma Messalina, la prima ninfomane della storia, in compagnia della meretrice di Babilonia. Affascinante e centrato il paragone tra la perdita dell’orgasmo per la donna e la perdita dell’amore per i libri da parte dell’intellettuale. Scopriamo che il professore non si eccita ai racconti osceni di Joe perché non può immedesimarsi, è un asessuale, non è mai stato con una donna e neppure con un uomo, può solo provare un piacere letterario.

Nymphomaniac volume 2 è intriso di riferimenti religiosi, in primo luogo traccia una singolare distinzione scismatica tra chiesa d’occidente (il dolore) e chiesa d’oriente (la felicità). Il professore non crede in Dio ma è interessato al concetto di religione, così come non pratica il sesso ma vuole studiarlo, precisando che “non mi troverà mai in ginocchio per nessuno dei due”. Il racconto di Joe si fa intenso e il dramma comincia a strutturarsi seguendo una spirale assurda di depravazioni. La ragazza narra la sua vita con Jerome, i divertimenti erotici eccesivi (cucchiai nella vulva al ristorante), l’amore che si stempera, il bisogno di fuga e infine la nascita di un figlio non voluto. Il bambino cresce tra il suo disgusto e la sensazione di un amore non corrisposto, mentre il bisogno di sesso le fa dimenticare tutto e le sue uscite a caccia di uomini diventano sempre più frequenti. Prima si traveste da maestrina di pianoforte e irretisce compagni di sesso con la scusa di un’auto in panne, mentre la colonna sonora si trasforma in Per Elisa di Beethoven. In un secondo tempo, Joe ingaggia un traduttore per concordare un appuntamento con due neri che discutono a lungo per decidere a chi spetti la parte posteriore del suo corpo. Sembra di rivedere analoga sequenza di un vecchio film di Joe D’Amato – Porno Holocaust (1980), uno dei primi hard italiani – dove Annj Goren è contesa tra due uomini di colore e durante l’atto sessuale prova un certo disgusto. Joe viene trattata come un oggetto, vediamo vere erezioni e alcune sequenze degne di una sala a luci rosse.

Lars von Trier si lascia andare al primo concetto politicamente non corretto del film usando la parola negro, rivendicando il diritto di impiegare le parole giuste per identificare persone e situazioni. La discesa negli inferi di Joe passa attraverso un’intensa pratica masochista, i tempi del film si dilatano, assistiamo a una serie interminabile di torture e frustate con il corpo della Gainsbourg legato a un divano e sottomesso da un sadico compagno che commina dolorose frustate. Il professore paragona la deriva masochista alla sofferenza di Cristo, alla passione prima della crocifissione, ma per Joe si tratta soltanto di ritrovare una sessualità perduta.

La donna è una madre snaturata, lascia il figlio piccolo a casa da solo, il bambino esce sul balcone di notte, durante una nevicata, in una scena che ripete una sequenza di Antichrist, così come è identica la colonna sonora: Lascia ch’io pianga tratta dal Rinaldo di Haendel. L’arrivo del padre evita una possibile disgrazia, dopo una tensione ai massimi livelli, con frequenti cambi di prospettiva. Il bambino verrà dato in affidamento e Joe si troverà sola, abbandonata anche da Jerome.

Il racconto della ninfomane prevede la dissacrazione di una seduta di psicoterapia di gruppo, per guarire dalla malattia, il tentativo di cambiare ma alla fine arriva il rifiuto: “Io sono ninfomane, adoro la mia fica e la mia lussuria”, grida. L’ultimo capitolo narra la deriva criminale di Joe, assunta da un losco figuro per un lavoro sporco di recupero crediti. I metodi per convincere i debitori sono cruenti, ma il momento più intenso vede la scoperta di un pedofilo represso che si eccita al racconto di bambini nudi. Lars von Trier, sempre più politicamente scorretto, si lascia andare a un’accorata difesa della pedofilia repressa, non difende chi violenta i minori, ma chi si fa violenza per se stesso e nasconde un’inclinazione abnorme. Joe è talmente vicina al destino del pedofilo represso, che giudica un’infelice, proprio come lei, un uomo destinato alla solitudine, che gli pratica una lunga fellatio (sequenza hard posticcia). Il regista non si ferma qui, ma definisce l’omosessualità una depravazione sessuale, altro momento non gradito per i frequentatori del politicamente corretto. Mancava il lesbismo alla deriva morale di Joe, che il regista descrive con cura, mettendo in primo piano un intenso rapporto con una minorenne, finito male, come ogni relazione della ninfomane.

La ragazzina dovrebbe aiutare Joe nel suo lavoro, ma un bel giorno s’imbatte in Jerome e tra i due nasce una relazione. Joe decide di vendicarsi e vorrebbe uccidere Jerome, ma la pistola fa cilecca, sarà l’uomo a percuotere selvaggiamente il primo amore, mentre la giovane ex compagna le orinerà sul corpo lacerato. Torniamo alle prime sequenze che vedono l’incontro tra Joe e il professore e l’inizio della confessione. Il finale è sconvolgente. Prima il professore giustifica la vita di Joe con un discorso femminista: “Tutto questo è accaduto perché lei era una donna. Se fosse stata un uomo nessuno avrebbe avuto niente da ridire sulla sua vita e anche lei non avrebbe avuto sensi di colpa”. Durante la notte il professore, così idealizzato da Joe, è preda di un imprevedibile risveglio dei sensi e tenta di violentare la ragazza. Joe rifiuta il rapporto, carica l’arma, uccide l’intellettuale e abbandona la sua casa.

Nymphomaniac volume 2 è inferiore al primo capitolo, forse perché la prima parte era talmente perfetta e ben equilibrata che era impossibile replicare – a distanza di poche settimane – un simile capolavoro. Il regista indugia troppo sulle depravazioni, soprattutto nella parte dedicata al masochismo, oltre a lasciarsi andare a dichiarazioni politicamente scorrette non troppo condivisibili. Molto buone le citazioni da Ingmar Bergman, come l’albero della vita e la danza onirica che ricorda Il settimo sigillo (1957), ma anche le più modeste dai film di James Bond e dai libri di Ian Fleming. Nymphomaniac ricorda la costruzione di un film a episodi, protagonista il degrado fisico e morale di una donna, alla ricerca della sua sessualità perduta. Il personaggio dell’intellettuale si stempera nella figura di un uomo normale, un coacervo di difetti e di aberrazioni. Morirà come un grillo parlante ucciso da un Pinocchio al femminile, alla perenne ricerca della sessualità perduta.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]  

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