Elezioni, europeisti alla prova del fuoco
Il Regno Unito si classifica sicuramente tra i paesi dove la corrente isolazionista ed anti-europeista è più forte, assieme alla Svizzera forse, che però non fa parte dell’Unione Europea. Abbiamo già riportato il consenso dell’Ukip di Nigel Farage che punta ad essere il primo partito e che fa dell’anti-europeismo la sua bandiera. Ma se il Regno Unito, pur non essendo nella Eurozona, fa parte della UE, non è un caso: furono proprio i conservatori, 40 anni fa, a battersi per l’adesione alla Comunità. E per gli strani casi del destino sono proprio i Tories, oggi, a porsi come alfieri dell’uscita dalla stessa Comunità. Follia? No, diciamo che le motivazioni ideologiche battono la sponda della realpolitik di non farsi più rosicchiare fette di elettorato dall’Ukip. Aggiungendo che il Labour, anche lui a favore di una forte presenza della Gran Bretagna in Europa, si è saldato all’Ukip avverso il budget europeo, pare che l’unico partito europeista siano rimasti i Liberaldemocratici, pesantemente sconfitti da Farage alle ultime elezioni. Forse proprio queste vicende hanno creato una fratellanza trasversale a favore dell’UE, ponendo le condizioni per la nascita del Centro per l’Influenza inglese in Europa (CBIE). Proprio in antitesi all’UKIP, si pone il partito ultra-europeista UKEPP di Dirk Hazell, nato da costole di conservatori e liberaldemocratici.
La Francia è stata per anni l’altro estremo dell’asse portante europeo Sarkozy-Merkel. La vittoria del Partito Socialista di Hollande non ha portato, almeno in teoria, grossi cambiamenti nella direzione europeista dei transalpini. Sicuramente la nuova Presidenza ha introdotto una diversa visione meno austero-centrica e più diretta alla difesa degli interessi francesi nell’ambito UE, l’incapacità di monsieur François Hollande di introdurre efficaci riforme economiche, assieme all’avanzata impetuosa del FN, ha sfumato le spinte europeistiche del Partito Socialista che restano comunque intatte. Il consistente calo di voti è stato compensato dal rialzo della popolarità del premier a seguito del decisionismo dimostrato nell’avvicendare il premier Ayrault con Manuel Valls.
In Germania una controversa sentenza della Corte Costituzionale, ha cancellato ogni soglia di sbarramento per le elezioni europee (curiosamente non per quelle federali), creando di fatto un sistema proporzionale e permettendo l’entrata nel Parlamento Europeo di forze finora escluse, come l’estrema destra. Malgrado questa novità, e un calo fisiologico di un paio di punti della coalizione CDU-CSU a favore della SPD, la leadership euro-centrica della cancelliera Merkel, forte di una ripresa economica unica e solida, non appare in discussione.
In Italia abbiamo, come d’altronde in quasi tutti gli altri Stati membri, tre diverse posizioni, gli euroscettici dichiarati Fratelli d’Italia e Lega Nord, cui pare essersi saldata Forza Italia con alcuni distinguo ma forte della perenne antipatia personale tra Silvio Berlusconi ed Angela Merkel. Quelli che vorrebbero una “diversa a modo loro” Europa come il Movimento 5 Stelle e la Lista Tsipras, ed i convinti europeisti composti dal PD, da UDC-NCD con i Popolari per l’Italia di Mario Mauro e da Scelta Europea. Con tutti gli ovvii dubbi e limitazioni del valore da attribuire ai sondaggi, i tre blocchi possono vantare un 30% per gli euro-scettici, un 40% per gli europeisti convinti (ma Scelta Europea non supererebbe la soglia) e l’incognita Grillo-Tsipras a guadagnarsi il restante 30%. Se alla fluidità e sfumature di alcune posizioni uniamo che almeno un 50% degli elettori è fra il non-voto e la scheda bianca, se non indecisi, è facile intuire come, a meno di un mese dalle elezioni, la magmaticità della situazione sia ancora molto forte.
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