Obama, tournée in Asia all’ombra della Cina

Il Presidente degli Stati Uniti ha firmato un nuovo accordo di difesa con le Filippine, che permetterà alle forze militari americane di avere una presenza più incisiva nell’arcipelago. Ma la situazione che si va sempre più degradando in Ucraina e le tensioni sempre più forti tra Stati Uniti e Russia minacciano di rendere molto meno importante il tentativo di Obama di riaffermarsi in Asia, il continente più dinamico (e forse più esplosivo) del pianeta. La tournée del Presidente americano in Giappone, Corea del Sud, Malesia e Filippine si è mostrata troppo timorosa per dare alla politica estera americana basi solide in questa regione.

Barack Obama ha concluso con una visita di due giorni nelle Filippine, la sua tournée asiatica che aveva come obbiettivo di rassicurare i suoi alleati asiatici sull’impegno degli Stati Uniti nella Regione di fronte alle velleità territoriali della Cina. Simbolo forte di riequilibrio della politica strategica di Washington a beneficio dell’Asia, gli Stati Uniti e le Filippine hanno firmato lunedì scorso, qualche ore prima dell’arrivo del presidente a Manila, un nuovo accordo di difesa che autorizzerebbe una presenza militare americana più significativa nell’arcipelago. I negoziati, cominciati nel 2013, hanno portato ad un accordo decennale che va a completare il trattato di difesa reciproca firmato tra i due Paesi nel 1951 in caso di aggressione militare. Autorizzerà le truppe, gli aerei e le navi militari americane di stazionare temporaneamente nelle Filippine, dove le ultime basi americane sono state chiuse nel 1992. “Una cooperazione più stretta tra le forze americane e filippine permetterà di migliorare le loro capacità congiunte di esercitazione e operative e di rispondere più rapidamente a tutta una serie di situazioni”, ha dichiarato Obama in un messaggio indirizzato alla rete televisiva filippina ABS-CBN. L’accordo autorizza ugualmente l’esercito americano di stoccare del materiale in vista di una mobilitazione più rapida delle forze americane nella regione – soprattutto in caso di catastrofi naturali. Gli Stati Uniti, ex potenza coloniale dell’arcipelago, sono stati il principale contribuente nello sforzo di aiuti internazionali dopo il passaggio, lo scorso 8 Novembre, del tifone Haiyan, che ha devastato il centro del Paese e provocato la morte di almeno 6000 persone. L’accordo non permette però a Washington di avere una base permanente o di far entrare armamenti nucleari.

Vasto arcipelago abitato da più di cento milioni di persone e il più debole dal punto di vista di difesa militare in Asia, le Filippine sono state l’ultima tappa di una lunga tournée regionale di Obama che lo ha portato in Giappone, Corea del Sud e Malesia. Uno dei principali obbiettivi di questo giro era quello di rassicurare i suoi alleati regionali sulla sua determinazione a rimanere al loro fianco in particolare di fronte alla militarizzazione della Cina e alle sue rivendicazioni territoriali. Il Presidente americano aveva dovuto annullare un precedente viaggio previsto lo scorso Ottobre a causa della paralisi del voto del Bilancio negli USA. La Cina è parte attiva di diversi contenziosi territoriali con molti suoi vicini, primo tra tutti il Giappone – rivendicando Pechino su Tokio la sovranità di un arcipelago disabitato nel Mar della Cina orientale. Manila ha da parte sua chiesto nel Gennaio del 2013 al Tribunale di arbitraggio delle nazioni Unite di giudicare la disputa sulla sovranità di alcune isolette in Mar della Cina meridionale, tra le quali l’atollo Scarborough, situato a 220 chilometri al largo della principale isola filippina, perentoriamente occupato dalla Cina nel Luglio del 2012.

La Cina nel frattempo si è presa anche un secondo atollo, sempre rivendicato dalle Filippine. Segno di debolezza degli Stati Uniti? Il timore degli alleati asiatici è lecito, visto la non reazione degli USA alla decisone unilaterale della Cina di autoproclamare una zona di identificazione di difesa aerea (ZIDA) che ingloba i territori rivendicati nel Mar della Cina orientale. La Cina ha preteso che tutti gli aerei che transitavano su quella zona, diretti o no verso lo spazio aereo cinese, annuncino il loro paino di volo. Reazione degli USA? Hanno assecondato la richiesta. Il Giappone? Non ha voluto tener conto della richiesta. Presi dai laboriosi processi di Pace isrealo-palestinesi, dalla crisi con la Russia per via dell’Ucraina e dalla loro evacuazione militare dall’Afghanistan, gli Stati Uniti non sembrano voler per questo mollare il controllo e l’impegno in Asia. “L’America ha delle responsabilità (…) Continueremo l’operazione di riequilibrio della nostra diplomazia verso questa parte del Mondo”, ha tenuto a puntualizzare più volte Obama. “Gli Stati Uniti sono accanto ai loro alleati, nei momenti di difficoltà come nei momenti buoni”.

Il Presidente americano si è “accontentato” di chiedere nuovamente alla Cina di astenersi da qualsiasi tipo di misura ostile per far valere le sue ragioni, come il regolare invio di pattuglie intorno alle Isole Senkaku amministrate dal Giappone ma rivendicate da Pechino con il nome di Diaoyu. “Gli Stati Uniti e la Cina devono sostenere gli sforzi degli Stati richiedenti per risolvere pacificamente i loro contenziosi marittimi e territoriali, con il dialogo e non con l’intimidazione, ivi compresa quelli nel Mar della Cina meridionale”, ha dichiarato Barack Obama. La verità è che gli Stati Uniti devono assolutamente mantenere dei buoni rapporti con la Cina, Paese che è ormai al centro degli interessi americani e della quale hanno bisogno per calmare gli ardori nucleari della Corea del Nord. La Comunità Internazionale si aspetta che Pyongyang effettui a breve la sua quarta esercitazione nucleare, con il rischio di attirarsi altre sanzioni dal Consiglio di sicurezza delle NU. Più che una politica di affermazione nella regione, gli Stati Uniti questa volta sembrano portare avanti una politica di neutralità, nella speranza di non essere coinvolti in confronti militari armati derivanti dalle rivendicazioni territoriali. Con questo fine, gli Stati Uniti, nonostante accordi reiterati e ripetute promesse, hanno lanciato diversi appelli all’autocontrollo non solo alla Cina, ma anche ai propri alleati. Anche questa è diplomazia, ma funzionerà di fronte al trionfo della forza prevaricatrice di questo XXI secolo?

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