Siria, non solo guerra civile

Almeno 60.000 persone sono fuggite negli ultimi giorni dalle città della Provincia di Deir Ezzor, nell’Est della Siria, teatro di intensi combattimenti tra jihadisti rivali, malgrado gli appelli alla tregua del capo di Al Qaeda. Mentre la crisi umanitaria si aggrava ogni giorno di più e che i rappresentanti delle Nazioni Unite si lamentano per gli immensi problemi che hanno a far arrivare gli aiuti ai civili, il Presidente Bachar al Assad  ha  pregato le organizzazioni governative incaricate degli aiuti a cooperare maggiormente con le organizzazioni locali e internazionali.

Il conflitto in Siria è diventato negli ultimi mesi molto complesso. Al fronte tra lealisti e ribelli si è aggiunta una guerra fratricida tra i gruppi che combattono l’esercito. Gli scontri nella Provincia di Deir Ezzor, che sono cominciati mercoledì scorso tra il Fronte Al-Nosra, il ramo siriano della rete di Al Qaeda, e gli jihadisti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante (SIIL), si sono intensificati nel fine settimana. Secondo l’Osservatorio siriano per i Diritti Umani (OSDH), gli abitanti delle località di Bussayra (35.000 persone), di Abriha (12.000 persone) e di al Zir (15.000 persone) hanno dovuto lasciare le loro case per via degli scontri sempre più violenti. Secondo l’ONG, una grande maggioranza di profughi hanno cercato di rifugiarsi nelle zone che sfuggono al controllo del Regime, in altri settori della Provincia di Deir Ezzor.  Una guerra fratricida che ha provocato la morte di migliaia di persone da Gennaio ad oggi, oppone Al-Nosra all’SIIL, entrambi impegnati contro il Regime. In una registrazione audio diffusa  venerdì 2 Maggio, il capo di Al Qaeda, Ayman al Zawahri, aveva ordinato al Fronte Al-Nosra di cessare immediatamente il fuoco sull’SIIL. I due gruppi estremisti inseguono lo stesso obbiettivo: la caduta del regime di Assad. Rivendicano anche la stessa affiliazione: Al Qaeda. A-Nosra è nata in Siria, lo Stato islamico in Iraq, solo in seguito ha deciso di intervenire anche in Siria, da qui l’aggiunta del termine “e nel Levante” nella sua sigla. I due movimenti sono coinvolti in una lotta senza tregua per la conquista soprattutto delle città e dei villaggi del Nord della Siria. Una lotta sanguinaria che ha mietuto migliaia di vittime.

Ovviamente Assad non può che essere compiaciuto di questa situazione: più i suoi nemici sono divisi e si combattono, meglio ne esce il Regime. Il capo di Al Qaeda ha cercato di riportare all’ordine i due fratelli nemici. Ha chiesto ad Al-Nosra di “dedicarsi alla lotta contro i nemici dell’Islam, in questo caso i baasisti”, i partigiani del Partito Baas, al potere in Siria. Si è anche nuovamente rivolto direttamente al capo dell’SIIL, chiedendogli perentoriamente di “dedicarsi all’Iraq, anche se questo vi sembra ingiusto, affinché cessi il massacro in Siria”. Il capo di Al Qaeda aveva già ufficialmente intronizzato Al-Nosra come ramo ufficiale di Al Qaeda in Siria. Non è la prima volta che Al Zawahiri interviene per ridefinire compiti e competenze di ognuno. Vedremo se questa volta il suo appello verrà ascoltato.  Intanto, chi continua a pagare sono i civili e i profughi della Provincia di Deir Ezzor vanno ad aggiungersi ai milioni di altri nel Paese, bambini, donne e uomini che hanno un disperato bisogno di aiuti umanitari. Recentemente, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, ha criticato severamente il problema di accesso di questi aiuti, malgrado la Risoluzione adottata in Febbraio che faceva appello ai belligeranti di lasciarli transitare, puntando il dito soprattutto verso il Governo siriano.

“Abbiamo bisogno di maggiore cooperazione tra i Ministeri e gli organi coinvolti negli aiuti umanitari, di un inoltro degli aiuti senza rinvii e di un lavoro sul territorio con tutte le parti locali e internazionali per facilitare l’instradamento degli aiuti”, avrebbe dichiarato Assad secondo la televisione di Stato. La responsabile delle operazioni umanitarie delle NU, Valerie Amos, si è rammaricata del fatto che “meno del dieci per cento dei 242.000 siriani presenti nelle zone assediate avevano ricevuto un aiuto umanitario nelle ultime 4 settimane. Il Regime è riuscito negli ultimi mesi a riconquistare diverse località strategiche in mano ai ribelli, e sabato scorso l’esercito  ha guadagnato postazioni in mano agli insorti nella Provincia di Damasco e Aleppo. Intano ad Homs, ribelli ed autorità siriane hanno accettato la tregua. I primi accettano di lasciare la città mentre i secondi gli concedono il passaggio senza prenderli di mira. I combattenti che occupavano questo focolaio della rivoluzione, quasi interamente raso al suolo, non riuscivano più a mantenere l’assedio. Uno dei capi dei ribelli di Homs ha dichiarato che i negoziati con i responsabili del Regime si sono svolti in presenza dell’Ambasciatore dell’Iran.

Secondo il governatore della città, Talal Barazi, sono 2.500 le persone, tra le quali 900 combattenti, evacuate verso Talibiseh, una delle ultime roccaforti dell’opposizione a nord della Provincia di Homs. I ribelli potranno conservare le loro armi leggere. L’evacuazione si è svolta sotto la supervisione di un rappresentante delle NU in Siria. Sui camion, gli ultimi combattenti che hanno lasciato la città sorridevano alle telecamere, ma per Damasco e soprattutto per Assad, la caduta della “capitale della rivoluzione siriana, è una vittoria importante. La situazione dei ribelli ad Homs era diventata disperata. I quartieri che tenevano ancora sotto controllo erano completamente accerchiati dal’esercito regolare, che aveva lanciato una vasta offensiva alla fine di Aprile. Centinaia di combattenti hanno accettato l’amnistia proposta dal Regime e qualche disertore è addirittura andato a raggiungere le fila dell’esercito. Continuare ad affrontarsi nei quartieri di Homs, era diventato un vero suicidio.

Come andrà a finire non si può prevedere, anche perché se sul terreno l’esercito regolare sta avendo la meglio e Bachar al Assad si è ricandidato alle elezioni,sicuro di vincerle. Il Governo americano ha deciso di dare alla sede dell’opposizione siriana che si trova sul suo territorio lo statuto di missione diplomatica straniera. Questa misura ha come obbiettivo di “rafforzare l’opposizione siriana moderata e di accompagnare i sui sforzi per aiutare tutti coloro che hanno bisogno di aiuto in Siria”, ha dichiarato un altro responsabile americano. Fermiamo per un attimo l’immagine sulla Homs di oggi: le sue rovine sono il simbolo della brutalità della repressione e della guerra civile che ne è seguita.

©Futuro Europa®

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