Presidenzialismo, perché non ce lo possiamo più permettere

Nel corso del dibattito sulle riforme istituzionali, in questi giorni è tornato alla ribalta il tema del presidenzialismo. Confesso che negli ultimi anni della Prima Repubblica sono stato uno dei più accesi sostenitori di tale riforma istituzionale. Tant’è che da vicepresidente del Lazio promossi un’iniziativa per realizzare l’elezione diretta dei presidenti regionali. A tale proposito ci fu una conferenza stampa, da me convocata con tutti i maggiori responsabili dei partiti presenti alla Pisana. Fu un successo che ebbe un’inaspettata risonanza anche nelle altre regioni. La cosa diventò poi una legge elettorale con mia grande soddisfazione e ancora oggi il sistema è quello da me prefigurato.

Ciò nasceva dall’improcrastinabile esigenza di porre fine alle estenuanti trattative post-elettorali tra i partiti della maggioranza per scegliere il Governatore con comprensibili ritardi che provocavano rinvii nel funzionamento della macchina dell’istituzione e ne danneggiavano l’immagine.

Con Berlusconi prima e con i Renzi e i Grillo in circolazione oggi, ho difficoltà a sostenere questa mia vecchia tesi. Il primato del “sé” in doppiopetto del Cavaliere, del “sé” in camicia di Renzi, del “sé” urlato di Grillo non promettono nulla di buono. Affidare a un uomo un potere personale legittimato dal consenso elettorale senza prevedere reali contrappesi, è un rischio che non possiamo correre nel nostro Paese. La nostra cultura politica non ce lo permette. L’esercizio del potere nel Dna del nostro modo di essere corre sempre il rischio di debordare. Già oggi, in presenza di una costituzione democratica che prevede la separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), questi spesso vengono esercitati con volontà prevaricatrici degli uni sugli altri con incommensurabili danni per le stesse istituzioni.

Pensiamo per un attimo all’elezione diretta dei sindaci che prevede la formazione di una Giunta da loro scelta autonomamente. La prima conseguenza è che, poiché spetta al primo cittadino il diritto di revocare un assessore, sono tutti a lui sottomessi per non essere mandati a casa nel giro di poche ore. Dov’è finita la partecipazione responsabile e dialettica della Giunta nell’individuare soluzioni ai problemi della città? E, inoltre, gli assessori devono dimettersi da consigliere rimanendo quindi nudi, sotto lo schiaffo dei capricci del sindaco. Ed è giusto che siano i consiglieri in carica a dover rispondere nella campagna elettorale successiva degli atti di Governo del comune di appartenenza? E’ un sistema questo assolutamente anomalo nel nome della governabilità. Il rischio, come sempre, è quello che in presenza di grandi crisi economiche e morali si riducano le garanzie democratiche con la motivazione dell’emergenza.

La storia passata e presente è piena di insegnamenti. Del resto, nella nostra cultura mediterranea, già il portiere dello stabile in divisa si sente un generale di corpo d’armata e perciò si comporta con arroganza. Figuriamoci un presidente eletto dal popolo. Ci si limiti dunque a rivedere solo l’infausto Porcellum che tanto male ha fatto alla politica. Si vari una legge elettorale che restituisca ruolo ai cittadini nella scelta dei candidati, che eviti sbarramenti finalizzati all’eliminazione dei piccoli partiti che pur rappresentano fette di elettorato.

Solo così le istituzioni potranno recuperare la loro autorevolezza quale condizione primaria per uscire dalla terribile crisi economica e morale che l’Europa intera e l’Italia attraversano.

©Futuro Europa®

Potito Salatto
 
 
[NdR – L’autore dell’articolo è eurodeputato del PPE, vicepresidente della delegazione Popolari per l’Europa al Parlamento europeo e socio fondatore del partito Popolari per l’Italia]
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