Il maestro di Vigevano (Film, 1963)
Il maestro di Vigevano è una commedia dolceamara ambientata da Elio Petri nel centro principale della Lomellina, la capitale dei calzaturifici, un posto dove “l’occhiata si ferma ai piedi”, come ammonisce la voce narrante sin dalle prime sequenze. Il tono della pellicola è narrativo, circolare, da romanzo per immagini, sottolineato dalla voce fuori campo – lo stesso Sordi – del maestro che racconta le sue vicissitudini. Il bel romanzo di Lucio Mastronardi è reso con efficacia, fotografato da un livido bianco e nero che indulge in panoramiche sul lungo fiume e nel centro cittadino, senza dimenticare sequenze di vita operaia.
Antonio Mombelli (Sordi) è un remissivo maestro elementare con 19 anni di servizio, vessato e umiliato da tutti, persino da un grottesco direttore (De Taranto) e da un arrogante imprenditore – padre di un alunno – che considera la cultura tempo perso. A casa le cose non vanno meglio. La moglie Ada (Bloom) vorrebbe vivere nel lusso, fare vacanze a Parigi, sfoggiare vestiti eleganti, ma non può perché il marito guadagna poco, meno di un operaio. Il figlio è una delusione, perché non è portato per gli studi, ma il padre non vuole che lavori, così come non vorrebbe che la madre si impiegasse come operaia in un calzaturificio per arrotondare il magro stipendio.
A un certo punto Ada mette su una piccola azienda casalinga, dopo aver convinto il marito a dimettersi dall’insegnamento, ma l’attività finisce male per la dabbenaggine del maestro che spiffera agli amici oscuri traffici per non pagare le tasse. L’insegnante vede la sua vita andare a rotoli, decide di studiare e di rientrare a scuola, ma nel frattempo la moglie lo tradisce con il solito imprenditore, fino al giorno in cui muore in un incidente stradale. Il maestro difende il suo onore, non ammette il tradimento, nega l’evidenza della moglie morta a bordo dell’auto del rivale, quindi riprende la solita vita e inizia un nuovo anno scolastico.
Un film delicato, struggente, ambientato nel mondo della scuola. “I maestri sono come i bambini. Basta un nulla per farli felici”, dice la voce narrante. La pellicola è popolata da personaggi deboli e perdenti, incapaci di affrontare la vita, come il supplente che finisce per suicidarsi gettandosi sotto un treno in corsa, unico vero amico di Antonio. Il regista narra le piccole cose della vita di provincia di un’Italia rurale e retorica, che comincia ad aprirsi ad artigianato e industrializzazione, descrive gli effetti di un boom economico, fatto di imprenditori ignoranti che disprezzano colti maestri. Vediamo gli insegnanti parlare tra loro, contendendosi i figli di artigiani e rampolli benestanti, meno problematici rispetto ai figli di operai. Si sogna guardando la televisione nei bar, perché il cinema è un lusso, ma con la misera paga di un maestro anche vestiti eleganti e scarpe nuove sono una chimera. Sordi presta il volto a un perdente esemplare, umiliato da tutti, ricattato da un genitore arrogante, vessato da un direttore pieno di sé, bistrattato da una moglie che non lo ama. Il solo a capirlo è il maestro supplente, ma entrambi sono incapaci di vivere un’esistenza che vorrebbero troppo diversa, più semplice e tranquilla, come non può essere la vita. Il maestro non riesce a fermare la sua donna che vuole lavorare per guadagnare di più, si riduce al mestiere di casalingo, fa il doposcuola per arrotondare, prova a lottare per i diritti sindacali della categoria. Niente va per il suo verso. Fare l’imprenditore è l’ultimo degli errori, perché la sola vocazione di Antonio, fare il maestro, finisce per essere tradita. Un film che a tratti diventa melodrammatico, descrive il fallimento di chi non si adatta a un mondo che cambia, realizza un’epopea delle piccole cose di pessimo gusto tanto care a Gozzano.
Ottime alcune parti oniriche, soprattutto quando Sordi sogna la scuola e immagina la moglie nei panni di Eva in un assurdo Paradiso. Per Antonio la scuola è tutto, unica ragione di vita, al punto che finisce per tornarci, anche se deve soffrire per il tradimento della moglie e piangere la sua morte. Finale circolare, che Petri riporta alle immagini iniziali, con un nuovo anno scolastico, i discorsi di sempre, bambini che entrano a scuola accompagnati dalle madri e maestri che discutono del niente. Antonio Mombelli è ancora al suo posto, succube come sempre, umile, perdente fino in fondo nei confronti della vita. Ottima la musica di Nino Rota che sottolinea il crescendo melodrammatico, ideale per una simile tema narrativo. Il romanzo di Mastronardi è più complesso della scrittura per immagini, perché la sceneggiatura trascura tutta la problematica relativa ai figli che tormenta la vita del maestro. L’interpretazione di Sordi di un uomo onesto incapace di fare strada in una società come la nostra resta memorabile.
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Regia: Elio Petri. Redazione Cinematografica (Sceneggiatura): Age, Furio Scarpelli, Elio Petri. Tratto dal romanzo omonimo di Lucio Mastronardi. Fotografia. Otello Martelli. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Musica: Nino Rota. Diretta: Franco Ferrara. Edizioni Musicali Dino (Roma). Aiuti Registi: Vana Caruso, Berto Pelosso. Operatore alla Macchina: Arturo Zavattini. Direttore di Produzione: Giorgio Morra. Scenografia e Ambientazione: Gastone Corsetti. Costumi: Lucilla Mussini. Arredatore: Giovanni Checchi. Teatri di Posa: Dino De Laurentiis Cinematografica SpA. Produzione: Dino e Alfredo De Laurentiis. Negativi e Positivi: Istituto Luce. Colore: Bianco e Nero. Interpreti: Alberto Sordi, Claire Bloom (Ada), Vito De Taranto, Ya Doucheskaya, Guido Spadea, Eva Magni, Piero Mazzarella, Lilla Ferrante, Ezio Sancrotti, Anna Carena, Umberto Rocco, Carlo Montini, Adriano Tocchio, Tullio Scovazzi, Enzo Savone, Gustavo D’Arpe, Ignazio Gibilisco, Bruno De Cerce, Nando Angelini, Egidio Casolari, Agniello Costabile, Franco Moraldi, Olivo Mondin, Joris Muzio, Luciano Muzzi, Franco Tuminelli, Lorenzo Logli, Gaetano Fusari.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]