Sottosegretario Rossi (PI): Europa, più forte in politica estera e nella difesa

Il mandato europeo che si chiude con i rinnovi del Parlamento e della Commissione europea, vede un’Europa meno protagonista in politica estera e sempre più “indaffarata” negli interessi dei propri Stati Membri. Schiacciata dal duopolio Cina-Usa e scossa a sud dalla polveriera africana, l’Unione Europea chiude il quinquennio di Politica Estera di Sicurezza Comune con un “poco di fatto”. Molti i capitoli ancora aperti e diverse le sfide da affrontare nel futuro: dal ruolo della Russia, all’assetto mediorientale, alla questione africana.

Futuro Europa ne ha parlato con l’On. Domenico Rossi, già Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito, Sottosegretario alla Difesa nell’attuale Governo Renzi e candidato per i “Popolari per l’Italia” nella lista NCD-UDC alle Elezioni europee del 25 maggio.

Sottosegretario, L’Unione Europea continua a perdere occasioni di intervento sui fronti geopolitici. Le primavere arabe, la crisi in Libia e quella in Mali hanno fatto emergere un nervo scoperto. Qualcosa non funziona in politica estera, non crede?

Esatto. L’altro giorno aprendo il Corriere ho trovato tre notizie: il “Papa piange i cristiani in Siria”, “l’Ucraina sull’orlo della guerra” e il “Caos immigrati alla Stazione di Milano”.  Tutti eventi che lambiscono il nostro Paese e che fanno emergere l’assenza dell’Europa nei rispettivi contesti. Tutti eventi internazionali che ci spingono ad una considerazione di fondo: quale ruolo intendiamo dare all’Europa in politica estera e, contestualmente, quale ruolo intendiamo dare all’Italia nella strategia europea nel Mediterraneo, in Medio Oriente e nei rapporti coi Paesi del Nord Africa?

Quindi la Politica Estera di Sicurezza Comune (PESC) così com’è non funziona. Cosa deve cambiare?

Sicuramente la PESC, così com’è oggi, non riesce a viaggiare alla velocità degli Stati. Alcuni perfezionamenti, certo, potrebbero essere fatti. Innanzitutto c’è bisogno di un’Europa che orienti la politica estera a supporto dei Paesi in difficoltà. Mi riferisco ai Paesi del Nord o del Centro Africa o ai Paesi che guardano all’UE come collocamento geopolitico ma che ancora non ne fanno parte. Così facendo (a buon favore per l’Italia) l’Europa potrebbe intervenire con “soft power” per prevenire l’immigrazione e sarebbe nelle condizioni di prevedere e intercettare le grandi crisi umanitarie e politiche.

Secondariamente, serve un’Europa che intervenga sullo scacchiere non con l’elemosina, ma con strumenti concreti d’intervento. Penso ad esempio agli Eurobond, che potrebbero essere investiti per supportare i Paesi di confine nella costruzione di infrastrutture e di società più moderne. Anche così si creerebbe sviluppo e anche così si potrebbero prevenire catastrofi umanitarie o crisi geopolitiche.

In terzo luogo penso a una politica estera europea che allarghi i confini occupazionali dei propri giovani. Magari attraverso Programmi internazionali di impiego, che permettano ai nostri ragazzi esperienze di lavoro internazionali e rientri in patria in condizioni più performanti. Non si tratterebbe di facilitare la “fuga di cervelli” ma di intensificare accordi bilaterali tra l’UE e le altre organizzazioni di Paesi e di facilitare l’impiego dei giovani europei nei circuiti economici mondiali. Abbiamo bisogno infine di un’Europa che si occupi seriamente di Difesa comune.

Infatti. La Politica estera dell’UE passa anche attraverso la protezione dei confini. L’Europa non ci sostiene nella difesa delle coste e le regioni del Centro e Sud Italia sono a rischio immigrazione. C’è da intervenire anche sulla difesa?

La protezione dei confini dell’Unione è sicuramente una delle leve chiave della PESC. E’ bene ricordare che Lampedusa è un confine europeo e che operazioni come “MareNostrum” sono operazioni nazionali che dovrebbero essere considerate come europee. Stiamo parlando di interventi che salvano migliaia di vite, che tamponano l’emorragia migratoria e che prevengono ondate di clandestini altrimenti dirette nei Paesi della mittle Europa. L’Italia non può essere lasciata sola e nemmeno sono più tollerabili esclusivamente interventi Frontex (contributi per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, Ndr). L’Europa deve rivedere le “Procedure di Comando e controllo” – per dirla in gergo militare – dei propri confini: intervenendo con strumenti di prevenzione nei Paesi d’origine, con azioni di controllo degli spazi marittimi internazionali e con strategia in sede di Nazioni Unite. Ancora una volta, servono interventi corali che non possono essere presi da un’Europa di Stati ma che devono essere presi all’unisono, da un’Europa coesa e forte.

Ci sta parlando anche di aspetti militari?

Il concetto di difesa comune europea passa attraverso la costituzione di un assetto militare europeo, oggi pressoché inesistente. La tendenza militare dell’Unione in questi anni, infatti, nei grandi conflitti internazionali – dal Libano, all’Afghanistan, all’Iraq – è stata quella di intervenire attraverso i contingenti nazionali degli Stati Membri e non adoperando l’impiego di un contingente unico europeo. Una condizione che va rivista e in questo, ogni Stato dovrà mettere in conto di cedere parte della sovranità dei propri corpi a favore di una regia europea, che crei un comune assetto militare e che rafforzi gli strumenti e le tecnologie a disposizione. Con condizioni operative chiare e con strumenti che permettano all’UE di intervenire a supporto della NATO e dell’ONU, in maniera forte e decisiva.

Qui sarà però importante anche una revisione dei bilanci della difesa degli Stati, in modo che si possa presto arrivare ad un bilancio militare unico ed europeo. Un Alto Rappresentante della PESC con poteri formali e un’autorevolezza internazionale, poi, potranno aiutare l’Europa ad essere protagonista delle grandi partite che il Continente sarà chiamato ad affrontare sullo scacchiere mondiale.

Lei si candida al Parlamento Europeo con la lista NCD-UDC, in rappresentanza dei Popolari per l’Italia, partito che ha fondato con l’amico Mario Mauro. Qual è il valore aggiunto dei Popolari in Europa?

La PESC, nei prossimi anni, dovrà essere rivista, proprio nei passaggi che le ho appena descritto. Portando in Europa le competenze costruite in questi anni, i Popolari potranno rappresentare buona parte del riscatto di cui l’Europa ha davvero bisogno. Anche in politica estera. Perché storie come quelle dell’Ucraina dell’ultimo periodo o delle primavere arabe dello scorso anno, ma anche la questione israelo-palestinese o le grandi sfide per il controllo delle risorse energetiche, non possono più essere solo appannaggio degli Stati dell’UE, ma richiedono un impegno forte di un soggetto forte: l’impegno di un’Europa con più strumenti e con più poteri d’intervento.

©Futuro Europa®

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Un Commento

  • Lei ha perfettamente ragione. Ho diretto il primo segretariato di quella che era allora la Cooperazione Politica Europea negli anni 80 e non mi pare che le cose siano andate finora nel senso di una maggiore coesione. Però bisogna avere il coraggio di affrontare il nodo centrale che blocca ogni progresso: il sistema di formazione della volontà comune, ancora legato in materia di PESC all’unanimità. Solo se si applicheranno a questo settore le norme che valgono per la normale vita comunitaria, si potranno superare le divisioni che esistono in seno all’Unione sui grandi temi di politica internazionale. Ma per riuscirci occorre superare il radicatissimo attaccamento dei governi e delle diplomazie nazionali alla loro autonomia. Essendo stato anche Ambasciatore alla NATO, conosco bene le questioni della difesa comune europea. Penso che sia quasi impossibile arrivarci con l’Inghilterra dentro, ma i grandi Paesi continentali dovrebbero procedere in modo spedito per coordinare sforzi e spesa, senza mai abbandonare l’ancoraggio dell’Alleanza Atlantica che Lei sa quanto me fino a che punto sia vitale per noi.

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