Giustizia e illegalità

Il nuovo scandalo degli appalti dell’Expo è venuto a confermare qualcosa che per un vecchio servitore dello Stato è causa di insopportabile disgusto: il sistema delle commesse pubbliche continua a essere viziato in Italia da pratiche corrotte. Il grande lavaggio di Mani Pulite è passato senza cambiare veramente il costume, senza creare nessuna remora morale e nemmeno la paura del carcere. Ancora gli appalti per beni e servizi pubblici si vincono a forza di mazzette che, ovviamente, ricadono sui costi, perché nessun imprenditore che vinca un appalto è disposto a rinunciare ad una parte del proprio guadagno. Ancora non  sono la qualità del servizio offerto, la correttezza, il rispetto dell’interesse comune, ma è l’eterna “esecranda fame dell’oro” a essere decisiva. Chi è troppo onesto o troppo ingenuo da non piegarsi al sistema resta fuori del gioco, o raccoglie solo le briciole. Chi vi è dentro fino  al collo, fa succosi affari (specie nella c.d. “capitale morale” e magari inveisce con gli amici  contro “Roma ladrona”).

Non ha smesso di esistere, anzi dilaga, una losca rete di faccendieri, di “facilitatori”, il cui compito parassitario consiste nel mettere insieme corrotti e corruttori e fare loro da copertura. Fa specie ritrovare gli stessi nomi, le stesse facce impunite di gente che nella vita non sa evidentemente fare altro e a cui le vicende del passato non hanno insegnato nulla, neppure la prudenza, visto che parlano, straparlano, si raccontano, si confessano al telefono  (è riapparso persino il compagno Greganti, che pareva dimenticato!).

C’è qualche differenza dal passato? Forse si. Negli  anni  Novanta  la corruzione toccava da vicino le più alte sfere dello Stato e coinvolgeva direttamente i grandi partiti, avidi di denaro per mantenere in piedi le loro pesanti strutture e pagarsi costose campagne elettorali. Ora sembrerebbe riguardare politici minori, per lo più locali, e funzionari disonesti. E il finanziamento pubblico ai partiti (ora in via di abolizione) ha disinnescato un motore di corruzione (ma ha portato con sé un’altra patologia criminale, la malversazione di fondi pubblici, come nei casi Lusi, Fiorito, Lega e tanti altri). Dovrebbe essere una differenza utile: quando il sistema è marcio in testa, perde ogni capacità di controllare e castigare la corruzione ai livelli intermedi e minori. Chi ruba per sé non ha l’autorità morale per impedire ad altri di rubare. Una classe politica integra nei suoi vertici dovrebbe invece avere capacità e ragioni per combattere la corruzione. Ma nel ventennio trascorso da Mani Pulite lo ha fatto poco e male. Le leggi anticorruzione sono state spesso frenate o annacquate dal PdL, si è tentato di ostacolare la Magistratura nella sua opera indagatoria (per esempio tentando di tagliare le intercettazioni telefoniche, che si rivelano sempre più uno strumento insostituibile d’indagine);  i poteri locali sono stati affidati a gente disinvolta e avida, la cui concezione del servizio pubblico sta nell’arricchimento personale.

L’ impressione è che la questione  morale sia stata presa da una parte almeno della politica abbastanza sottogamba, con la stessa leggerezza con cui sono stati visti altri temi essenziali per la vita collettiva, come le finanze e i costumi  privati. Di tutto questo Silvio Berlusconi porta una responsabilità non secondaria. Nessuno credo si sogni  di considerarlo un corrotto. Ma corruttore sì: corruttore, innanzitutto, del costume, personalmente portato, magari anche per generosità e malinteso senso dell’amicizia, a circondarsi di lenoni, faccendieri, gente di dubbia virtù e di scarsissima etica, finendo talvolta col ritrovarsi nelle loro mani. Su di lui e sui suoi governi si possono dire molte cose, anche contraddittorie, ma una cosa certamente no: che abbia posto i temi della legalità al centro della sua attenzione e della sua azione. O meglio: la legalità è stata intesa unicamente come legata alla criminalità organizzata e ordinaria (visto che importanti risultati sono stati conseguiti nella lotta alle mafie), non nella sua dimensione che gli americani chiamano “dei colletti bianchi”. Reati pur gravi, come il falso in bilancio, sono stati derubricati, attorno a Berlusconi hanno continuato a circolare  personaggi riconosciuti colpevoli di gravissimi reati (collusione mafiosa, corruzione di giudici o di testimoni). Alle volte sono stati allontanati per convenienza dalla scena pubblica, ma non risulta mai che vi sia stato da parte del loro protettore e amico riprovazione e, meno che mai, sconfessione. Come poteva, del resto, Berlusconi riprovare e sconfessare gente come Dell’Utri e Previti, che ha agito con il suo pieno accordo e nel suo interesse? Questa  insensibilità al tema della legalità continua anche oggi: il tentativo della Giustizia di portare Dell’Utri in Italia, è definito  un’assurda persecuzione. Un ex-Ministro dell’Interno, Scajola, è accusato di favoreggiamento, reato tra i più odiosi specie per un funzionario pubblico, e l’ex-Cavaliere lo ha giustificato: “Ha solo voluto aiutare un amico latitante.” (E uno si chiede: ma si rende conto di quello che dice? Il Codice Penale lo conosce , magari per sentito dire?).

È possibile superare tutto questo? Certo, il ciclo di Berlusconi si avvicina alla fine e chi governerà l’Italia nei prossimi anni si spera non abbia scheletri nell’armadio e appartenga a una  tradizione di legalità (ma attenti, il ritorno al finanziamento privato dei partiti, se non accompagnato da regole e controlli ferrei, porterà nuovi problemi).  Però non illudiamoci troppo: la corruzione fa parte – anche se costa riconoscerlo – di abitudini umane radicate e antiche, forse della stessa natura dell’uomo. Cancellarla del tutto è impossibile (pochi, se pure esistono, sono i Paesi che ci sono riusciti). È però  lo stesso doveroso combatterla con tutti i mezzi, senza sosta, senza respiro; con “tolleranza zero” da parte degli organi politici e amministrativi e con una diffusa opera di sensibilizzazione e insegnamento, nella scuola e nella società, sui temi della legalità. E poi, in concreto, con leggi dure ed efficaci e potenziando l’azione degli organi ispettivi e di controllo e la vigilanza delle forze dell’ordine, e rinunciando al dissennato tentativo di ostacolare l’azione della Magistratura o porle condizionamenti politici. In un mondo imperfetto, una Giustizia indipendente, determinata ed impegnata, costituisce il vero baluardo contro l’illegalità. Dove la Giustizia è inerte o sottomessa al potere politico, inevitabilmente subentra l’impunità, che della corruzione è la faccia più insopportabile.

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