Berlusconi, legalità e presunti complotti
Dopo le prime, infelici dichiarazioni sugli scandali Dell’Utri e Scajola, Silvio Berlusconi ha un po’ corretto il tiro. Ora non parla più di “assurda persecuzione giudiziaria” per Dell’Utri e non minimizza l’operato di Scajola, sostenendo che (poverino!) avrebbe voluto “semplicemente aiutare un amico latitante”. Si dice “addolorato”, ricorda che quegli amici “hanno le loro storie personali” e, comunque, loro come già Cosentino, “da tempo sono estranei alla vita di Forza Italia”. E in questo qualcosa di vero c’è: Dell’Utri non fu ricandidato al Senato e Scajola non è riuscito e entrare nelle liste per le Europee, come fortemente sperava. Ma questa presa di distanze, praticamente obbligata di fronte alle ripercussioni degli scandali – e per di più in piena campagna elettorale – suona blanda, tardiva e poco convincente. Da un ex Capo del Governo, per il quale la difesa della morale pubblica dovrebbe essere tra i compiti primordiali, occorrerebbe una presa di posizione netta, chiara, senza sfumature o tentativi di comprensione. Ma come chiederla a chi ha mostrato di avere della legalità e della morale, pubblica e privata, un concetto tanto relativo? A chi ha subìto pesanti giudizi, qualche condanna e molte assoluzioni per prescrizione e tuttora affronta processi per reati particolarmente odiosi? Di fronte a una forte, esplicita condanna da parte del loro ex capo e referente, si può immaginare la reazione dei vari Scajola, Dell’Utri, Cosentino: “Da che pulpito viene la predica!”.
Il fatto è che risulta impossibile per Berlusconi prendere credibilmente le distanze da una pratica di scarsa attenzione alla legalità, che ha segnato tutto il suo passato, di imprenditore prima e di politico poi. Difficile, in particolare, rinnegare un sistema di amicizie, complicità o compiacenza per faccendieri, lenoni, profittatori di vario tipo che hanno taglieggiato anche lui. Mascalzoncelli ce ne sono stati e ce ne saranno sempre in quasi tutti i partiti e il Capo non può essere chiamato sempre e necessariamente a risponderne, specie quando si tratta di personaggi secondari e non funzionali all’attività di governo, come lo erano in realtà i vari Fiorito, Cosentino e Matacena (che Berlusconi dice di non ricordare neppure). Ma Dell’Utri è stato per decenni il collaboratore e l’amico più stretto, il partecipe di tutte le iniziative imprenditoriali e il depositario di segreti di cui egli ha probabilmente scelto di farsi carico senza coinvolgervi il suo amico. E Scajola è stato personaggio non minore nella costellazione berlusconiana al governo del Paese.
Organizzatore del Partito per le elezioni del 2001 (lo conobbi in quella veste e spirava autorità e sicurezza del proprio ruolo da tutti i pori) poi Ministro dell’Interno, cioè titolare del dicastero storicamente chiave di ogni Governo italiano, custode e garante massimo dell’ordine e della legalità. Ora risulta che questo stesso personaggio, nelle cui mani doveva riposare la sicurezza di tutti, sarebbe immerso fino al collo in una fitta rete di complicità, di scambi di favori, di violazioni della legge, che potrebbe persino sfiorare la criminalità organizzata. Tutto questo è naturalmente, da dimostrare, ma intanto viene un brivido retrospettivo nel chiedersi: “Ma in che mani siamo stati?”.
Ma, inseguito da un passato di tanta illegalità, tante cattive frequentazioni, tante pessime scelte personali e politiche, l’ex Presidente del Consiglio si afferra ora a una sua particolare battaglia per la legalità, ritirando fuori il fantasma di un complotto, anzi di un vero e proprio “colpo di stato” contro di lui nell’autunno del 2011, alimentato questa volta dalle dichiarazioni sconsiderate di un ex Ministro americano. Dalle quali, anche prendendole per buone, risulterebbe: che alcun europei avrebbero chiesto a Obama di “far cadere Berlusconi”. E che Obama si sarebbe rifiutato (lo credo: anche volendo, ci si spieghi come avrebbe potuto farlo nella pratica). Quindi, nuovi strilli, nuova indignazione a comando dei fedeli scherani, nuovo vittimismo, rinnovati insulti al Capo dello Stato, alla Merkel, a Bruxelles, ai mercati. Sono mezzucci disperati per una campagna elettorale in gran parte già bruciata, il tentativo di mobilitare la simpatia dei fedeli in via di allontanamento. Non escludo affatto che, nell’autunno del 2011, in piena crisi dell’economia e delle finanze europee, alcuni europei più responsabili abbiano visto in Berlusconi e nel suo governo l’ostacolo a una rimessa in ordine dei conti e quindi un pericolo per l’intera Europa, e che abbiano pensato che la sua caduta sarebbe stata un bene per tutti.
Se è così, avevano perfettamente ragione. Gli eventi successivi hanno dimostrato che, grazie all’opera rigorosa di Monti, l’Italia e l’Europa intera si sono salvate dalla catastrofe finanziaria. Ma se vi era tra i nostri partner sfiducia diffusa e la speranza in un cambio di passo dell’Italia, non raccontiamo balle: la caduta di Berlusconi, come tutti ricordano perfettamente, avvenne per causa e debolezza proprie; eravamo a due passi dalla cessazione dei pagamenti, lo spread era a quota 546, i mercati ci ritiravano la fiducia, Berlusconi e Tremonti litigavano e, a un certo punto, il Governo perse la maggioranza alla Camera. Fu Berlusconi a dimettersi, come era obbligato a fare e fu lui stesso ad aprire la strada al Governo dei tecnici. Questa la nuda e cruda verità, che il Capo dello Stato ha nuovamente e puntigliosamente ricordata. Ogni tentativo di riscrivere la Storia, allegando un diabolico complotto contro l’Italia è solo il grottesco tentativo di sviare l’attenzione da tanti esempi di illegalità ammantandosi di una sorta di superiore legalità democratica internazionale e patriottica.
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