Rinnovabili, l’Italia le promuove nel Pacifico

L’Italia promuove le Rinnovabili nel Pacifico. Lo fa attraverso il Programma di Cooperazione tra Italia, Austria e alcuni piccoli Stati insulari del Pacifico: Fiji, Marshall, Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Samoa, Solomon, Tonga, Tuvalu, Vanuatu.  Il programma è stato lanciato con un Memorandum of Understanding nel 2007, mirato a sostenere i Piccoli Stati insulari del Pacifico nell’impegno a raggiungere l’autonomia energetica, adattarsi ai cambiamenti climatici e ridurre le emissioni nocive generate dal consumo di energia. I progetti previsti sono centrati sullo sviluppo di energie rinnovabili a livello locale, con l’obiettivo ulteriore di incrementare l’accesso a servizi energetici e ridurre l’emissione di gas serra. Un esempio è il progetto con il quale l’Italia insieme al governo austriaco coopera per rafforzare la sicurezza energetica e adottare un piano strategico fondato sulle rinnovabili nell’arcipelago di Vanuatu.

Lo splendido arcipelago, parte del più ampio arcipelago della Melanesia, è costituito da ottantatre isole in parte vulcaniche circondate da barriere coralline: di queste, sessantacinque sono abitate, ma fino all’arrivo della Cooperazione italo-austriaca solo due disponevano di un sistema di approvvigionamento elettrico diffuso. Vanuatu vive principalmente di turismo, eppure sulle isole l’energia è stata finora generalmente fornita da fumosi generatori a diesel, come a Efate, isola sulla quale si trova la capitale Port Vila: qui, proprio nel centro turistico dell’arcipelago,  l’elettricità era generata da un grande impianto termoelettrico a petrolio e da numerosi generatori di media scala. Ovvio che per rivalutare la grande risorsa ambientale di cui dispone il governo abbia colto al volo l’occasione di cambiare rotta e superare, al contempo, la schiavitù dei combustibili fossili adottando un piano energetico fondato sulla microgenerazione diffusa. Il Piano prevede  una rete di piccoli parchi eolici, impianti microidroelettrici e pannelli solari sugli edifici pubblici come scuole, ospedali e centri sanitari. Nel progetto di cooperazione rientrano la costruzione di una mini-centrale idroelettrica nella remota isola di Maewo, la mappatura dei venti in tutto l’arcipelago attraverso l’installazione di centraline anemometriche, il potenziamento dei sistemi di generazione di energia solare per ventiquattro scuole e sedici centri medici nelle isole di Santo, Malo e Malekula. Il Governo di Vanuatu ha creduto tanto nelle strategie energetiche ecocompatibili da aver con l’occasione ribattezzato il suo Ministero dell’Ambiente e Energia “Ministero per l’adattamento al cambiamento climatico, per la meteorologia, l’ambiente, le energie e la gestione delle emergenze ambientali”.

Ma perché l’Italia investe, con la sua Cooperazione, nello sviluppo del sistema energetico delle lontane isole del Pacifico? L’impegno italiano nelle Isole risponde alla strategia diplomatica del nostro Paese in ambito ONU, perché nell’ambito dei negoziati sul clima sta acquistando importanza l’AOSIS, alleanza dei piccoli stati insulari, alcuni dei quali rischiano addirittura la scomparsa per l’innalzamento del livello del mare dovuto al riscaldamento globale provocato dalle emissioni di CO2, come si prevede per Kiribati e le Maldive. Ora, pur essendo ‘minori’, nell’assemblea delle Nazioni Unite i Paesi del Pacifico hanno un voto pari a quello delle grandi potenze mondiali. L’Italia è ottavo finanziatore dell’ONU e primo contributor per missioni di peacekeeping, e nel meccanismo ONU  “uno stato, un voto” coltivare un consenso dentro le Nazioni Unite attraverso la cooperazione allo sviluppo di piccoli Paesi è uno strumento complementare per ottenere molto in termini di sostegno diplomatico investendo poco. Di qui il via alla cooperazione per energia e clima nel Pacifico.

Ma naturalmente, su questa base politica e logistica, si è costruito ben di più, ovvero un modello di studio dell’autonomia energetica ‘in laboratorio’. Gli arcipelaghi del Pacifico sono infatti distanti migliaia di miglia dai continenti e quindi da oleodotti, gasdotti e reti elettriche, ma sono circondati dagli elementi naturali: per questo costituiscono laboratori perfetti per lo studio del modello di una ‘autosufficienza energetica’ non fondata sui combustibili fossili ma sull’energia presente nell’ambiente, un paradigma geopolitico che sta tornando attuale in coincidenza con le crisi in Ucraina e Medioriente. Non a caso, il recente G7 Energia di Roma, che è stato dedicato al problema della sicurezza degli approvvigionamenti, per le strategie di lungo periodo ha messo l’accento sugli obiettivi di produzione ‘indigena’ ed ‘ecosostenibile’. E proprio laboratori ‘chiusi’ come le isole del Pacifico consentono ai ricercatori di studiare al meglio problemi e caratteristiche di sistemi ‘scollegabili’ dalla rete, in grado di gestire in piena autonomia il ciclo della materia e dell’energia. Al problema dell’autosufficienza energetica si affianca quello della prevista scomparsa di decine di migliaia di atolli corallini nel mondo a causa del cambiamento climatico.

Lavorare nel ‘laboratorio Pacifico’ costituisce quindi un importante contributo alla ricerca sulla gestione ecocompatibile dell’energia. Al contempo, il lavoro nel Grande Oceano consente di effettuare una efficace comunicazione pubblica dei risultati, grazie alla visibilità che il turismo ha conferito alle Isole nell’immaginario delle società dei Paesi sviluppati, ai loro problemi e alle strategie adottate per risolverli: un elemento importante per trasformare progetti ed esperimenti in consenso diffuso e influenzare in questo modo le decisioni politiche su Energia e Clima. Grazie, anche, all’impegno della ricerca e della cooperazione italiane nelle lontane isole del Pacifico.

©Futuro Europa®

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