Cronache dai Palazzi

Superato lo scoglio delle elezioni europee ora occorre ripensare l’Europa. “L’Europa deve parlare ai cittadini”, afferma il premier Renzi che ribadisce: “Per salvare l’Europa bisogna cambiare l’Europa”. L’avanzata degli euroscettici impone, inoltre, una dura revisione dei trattati e delle regole del gioco. L’unica cosa certa, dopo la chiusura delle urne, è che l’Europa continuerà ad essere governata da un’ampia coalizione formata da popolari, socialisti e liberali (450 seggi), ossia una maggioranza che permetterà all’Europarlamento di continuare a lavorare serenamente. La presidenza della Commissione europea è invece ancora avvolta nel dubbio dopo le critiche sollevate da più parti contro la candidatura del lussemburghese Jean Claude Juncker, capofila del Partito Popolare Europeo.

Al di là della lotta per le poltrone, l’Europarlamento e la Commissione dovranno far fronte ad un ricco pacchetto di emergenza a partire dalla situazione economica. Gli ultimi dati di Eurostat confermano che nel primo trimestre del 2014 la zona euro è cresciuta meno del previsto. Solo la Germania è in attivo. La Francia ha registrato crescita “zero”. L’Italia ha subito una contrazione dello 0.2%. La disoccupazione rimane a livelli record dovunque, mentre l’instabilità provocata dalla Primavera Araba nel Nord Africa e la crisi con la Russia a proposito di Ucraina rappresentano degli aggravanti che peggiorano il quadro. La sfida multipla che le istituzioni europee dovranno affrontare da qui in avanti prevede in cima all’agenda le seguenti questioni: crescita, lavoro, immigrazione, energia, rapporti con i Paesi vicini.

Il primo obiettivo è ridisegnare le alleanze mettendo a punto un’offensiva per la crescita. “Più delle persone e degli incarichi che ricoprono – afferma Renzi per conto dell’Italia – per noi sono essenziali gli accordi sui contenuti”. Nonostante tutto, però, l’obiettivo non di secondo piano è procurare all’Italia delle poltrone che abbiano un peso, come Pittella alla presidenza dell’Europarlamento, un commissario con delega economica, mentre la candidatura di Juncker – sgradita a Renzi, non sostenuta dalla Merkel e non favorita da Cameron – potrebbe passare ad Enrico Letta che rappresenta una carta spendibile come presidente della Commissione europea, anche se vi è già Mario Draghi alla presidenza della Bce.

Le procedure concordate tra le famiglie politiche prima delle elezioni prevedono, tra l’altro, che il primo partito esprima il candidato presidente della Commissione. Angela Merkel, a sua volta, pur non disconoscendo che Juncker è il candidato di punta del PPE, è convinta che “si deve guardare a una rosa più ampia di personalità adeguate”, tra le quali la cancelliera include la direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde.

Dopo circa 7 anni di crisi adesso per l’Europa è in gioco una svolta ma molto dipenderà dai suoi governanti e in primo luogo da quelli italiani. Ne è convinto Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia, che sottolinea come l’Ue si trovi “di fronte ad un bivio tra una crescita asfittica e una velocità diversa”. In questo contesto “la differenza è nelle mani dei policy makers, dei leader europei e, in particolare, del governo italiano”, ammonisce Padoan. Occorrerà fronteggiare l’austerità tedesca, l’ansia dei Paesi del Sud ancora in crisi e la marea sollevata degli antieuropeisti in rivolta. L’obiettivo di fondo dovrebbe essere un allettamento dei vincoli posti da Bruxelles ai singoli deficit pubblici, soprattutto laddove si affermano importanti investimenti produttivi.  In particolare il ministro dell’economia italiano sottolinea la necessità di dare “più spazio a investimenti pubblici e privati con strumenti di tipo finanziario” sottolineando che l’Italia ha “tutte le carte in regola, in termini di consolidamento fiscale, di riforme strutturali e di proposte, per porsi obiettivi importanti”.

Il semestre italiano di presidenza europea rappresenterà un’occasione fondamentale per l’Italia, in primo luogo per “dare una svolta”, ciò che in sostanza vuol dire più investimenti per la crescita e l’occupazione e meno dibattiti inutili su due o tre decimali di deficit, in più o in meno. Il leader degli industriali, Giorgio Squinzi chiede di abbandonare “il rigore fine a se stesso” mentre il ministro Guidi incoraggia un piano straordinario per favorire “il made in Italy”, in particolare le piccole e medie imprese. “Entro il 20 giugno” il governo varerà nuove misure a vantaggio della competitività. Il presidente di Confindustria applaude al successo di Renzi ma deve incassare l’assenza del premier all’Assemblea “romana” degli industriali. Renzi ha dichiarato che sarà presente a quelle di Treviso e Vicenza-Verona – “perché là ci sono i veri imprenditori”, ha ammonito il premier – con la chiara intenzione di confrontarsi con il territorio a svantaggio di una concertazione confinata all’interno del Palazzo. Comunque anche Confindustria è convinta che l’Europa deve cambiare avviando “un ciclo macroeconomico espansivo” e avendo il coraggio di “fare politiche di bilancio diverse rispetto al passato”. A proposito di equità delle regole occorre sottolineare che nel nostro Paese il cuneo fiscale è al 53%, ossia di dieci punti superiore alla media Ue.

Il pacchetto di provvedimenti per la competitività presentato dal governo ed esposto dal ministro Guidi prevede una “significativa agevolazione fiscale sugli investimenti aggiuntivi in beni strumentali”; un piano di riduzione della bolletta energetica del 10% per le piccole e medie imprese; un piano per aumentare di almeno 20 mila unità le aziende mirando, nel contempo, a “potenziare le strutture che si occupano di internazionalizzazione”. Dulcis in fundu la vera spina nel fianco, la semplificazione burocratica. Anche qui il governo mira “entro fine anno” a presentare “una proposta di semplificazione complessiva di tutte le procedure che impattano sulle imprese”, il tutto all’insegna di una “battaglia culturale” per dire stop alla “dilagante cultura anti imprenditoriale” – ha affermato il ministro Guidi di fronte alla platea romana di Confindustria– e alla “criminalizzazione del profitto”.

Concorde con la maggior parte dei dati macroeconomici il leader degli imprenditori rimarca, infine, che anche nel 2014 “la crescita non ci sarà e non ci sarà lavoro”; è quindi più che necessaria una radicale riforma della giustizia e della burocrazia dato che “in Italia il sabotaggio della crescita appare sistematico”. Le imprese sono però chiamate a fare di più investendo in ricerca e innovazione e opponendosi al sistema della corruzione che produce “un grave danno alla concorrenza”. “Chi corrompe fa male alla propria comunità e al mercato”, afferma Squinzi.

In definitiva, molti hanno deciso di cavalcare il fenomeno renziano salendo sul carro del vincitore e applaudendo anche se per pochi giorni. Superata la settimana delle ovazioni ora il governo deve necessariamente rimboccarsi le maniche e portare a termine le riforme. In particolare a proposito di crescita e di lavoro il premier assicura un notevole cambiamento entro l’estate.

Superata la vecchia logica di contrapposizione destra/sinistra, si preferisce allo schieramento ideologico il binomio velocità e stabilità nutrito da una sostanziale voglia di cambiamento. Un cambiamento che l’esecutivo Renzi incarna ma che ora deve saper concretizzare nel migliore dei modi.

Matteo Renzi è a sua volta sempre più convinto di approdare alla fine della legislatura e fissa al 2018 la scadenza del suo attuale mandato di governo. “Io non lascio, raddoppio” – afferma Renzi di fronte all’Assemblea Pd riunita al Nazareno – dove raddoppiare vuol dire rilanciare il piano delle riforme, dalla legge elettorale al rinnovo di Palazzo Madama, passando per la riforma del lavoro e della Pubblica amministrazione.

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