Vacanze d’altri tempi

Avevo 15 anni quando per la prima volta accompagnai i miei genitori in crociera. Erano i tempi in cui le signore portavano per l’occasione bauli pieni di abiti sontuosi, sfarzosi e mia madre non faceva eccezione. Gli uomini si indossavano lo smoking per cenare insieme al Comandante. Bei tempi, davvero.

Io come sempre in gonna blu e maglietta o camicia e orribili calzettoni bianchi che non stavano mai su. Avevo sempre l’aria trasandata, la camicia sporca, la scarpa slacciata. Ero quanto di peggio una madre potesse avere come figlia. La sua esortazione ”pettinati” mi è risuonata nelle orecchie per anni.

In quella famosa crociera mi resi conto di essere una ragazzina poco adatta al rango. Alcune signore eleganti e odiose proprio come mia madre, si trascinavano appresso antipatiche mocciose ben pettinate, con la scarpa giusta e la maglietta pulita. Io sembravo sempre la figlia della colf, lo leggevo nelle occhiate rassegnate della mia mamma. Mio padre invece aveva capito che sotto quei capelli spettinati, c’era un gran cervello che tentava di emergere.

Ma non era lui a gestire la mia vita. A cena, noiosissima, non mi piaceva mai nulla; avevo l’abitudine di fare l’autopsia ai cibi nel piatto; separavo per colore e forma ed ero una vegana prima ancora che inventassero la parola. La carne mi faceva orrore. Poi, come non bastasse, annusavo tutto. Ora che sono molto adulta mi rendo conto che guaio sono stata per una donna come mia madre, educatissima, che mangiava con la bocca chiusa, faceva smorfiette impercettibili se qualcosa era troppo caldo; al contrario di me che sputavo tutto nel piatto cominciando a sventolarmi con la salvietta emettendo lamenti gutturali degni di un elefante morente.  Senza tenere conto che bevevo sorsate giganti facendo concorrenza a un ippopotamo assetato.

Il momento più bello della Crociera fu quando, ad Atene, in visita al Partenone, mi persi. Ero rapita da tutta quell’inaspettata bellezza e poi avevo portato con me un libro sui miti greci. Mentre tutto il gruppo trotterellava cercando ombra in quella torrida giornata, io, che ho sempre amato il caldo, pensavo agli dei dell’Olimpo. A Giove e alla sua carnalità – che all’epoca non mi era chiara come concetto – al fatto che desse fastidio a tutte, bastava respirassero, a Marte il mio preferito, il guerriero fiero e sprezzante. E leggevo e immaginavo guerre e vendette; e il tempo passava. Al tramonto i custodi mi erano venuti a prendere e portata con loro negli uffici dove, poco dopo, il Commissario di bordo accompagnato da mio padre era venuto a riprendermi. Io ero mortificata, mio padre tratteneva a stento le risate e il Commissario se ne fregava altamente. Mia madre mi punì con il silenzio. Ma a me sembrava una benedizione.

Mentre tutte le fanciulle a bordo si adoperavano per far parte di qualche gioco o evento in programma – che so, gare di ballo per debuttanti oppure coreografie di vecchi musical fatte con la carta e la fantasia di quei poveri cristi che facevano gli animatori – io mi mettevo a leggere nei corridoi sottovento, lontano da tutti. Disertavo le riunioni e non avevo voglia di conoscere nessuno. C’erano già i primi accenni di villaggi vacanza in erba e quindi mi vennero a scovare ed io, allora intellettuale, mi iscrissi a una gara di cultura, se così si può dire e naturalmente la vinsi.

Ora guardo con orrore frotte di studenti in gita a Roma, portatori sani di ignoranza e penso di essere un dinosauro. E rimpiango la clamorosa ingenuità della mia generazione.

©Futuro Europa®

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