Caso Uber: quanto vale l’app più odiata dai taxi?
Nonostante la linea dura di Maroni e Lupi, non accennano a placarsi le polemiche contro Uber, l’applicazione mobile che consente a chiunque d’improvvisarsi tassista e scarrozzare persone a bordo della propria auto a prezzi super-competitivi. L’11 giugno 2014 è infatti previsto uno sciopero internazionale, che rischierà di paralizzerà nuovamente molte città, a cominciare proprio da Milano e Roma dove il servizio è operativo.
Come sottolineato da alcuni acuti osservatori, lo sciopero selvaggio dei tassisti ha senza volerlo contribuito al successo dell’applicazione; una conferma dell’adagio “Male o bene, l’importante è che se ne parli”. La società americana che ha sviluppato Uber ha diffuso alcuni numeri al riguardo. Un’autista Uber ha un guadagno medio di oltre 90mila dollari (67mila euro) contro i 38.357 dollari (28.170 dollari) di retribuzione annua di un tassista professionista; anche se parliamo degli USA la differenza è significativa: più del triplo. Inoltre, sempre secondo l’azienda americana nell’ultimo anno Uber avrebbe creato ricchezza per 2,8 miliardi di dollari (equivalenti a circa 2 miliardi di euro).
Oltre al guadagno personale, ci sarebbero anche benefici per la collettività. Basti pensare che a 300 giorni dall’introduzione di Uber a Chicago i crimini commessi dai tassisti sono diminuiti del 20%, mentre a Seattle gli arresti per guida in stato di ebbrezza sono diminuiti di 10%.
E in Italia? Il servizio Uber è stato dichiarato illegale, non conforme alla normativa vigente in materia. Chi esercita un servizio pubblico deve, infatti, rispettare rigorosi criteri che vanno dal possesso di una licenza (costata cara a molti tassisti, anche 200mila euro in alcuni casi) agli standard tecnici e di sicurezza. Per completezza d’informazione va, però, detto che si tratta di una normativa obsoleta e che come spesso succede la tecnologia si muove ad un ritmo più veloce di quanto non faccia la Legge, creando così dei vuoti normativi. Ci si trova di fronte a un fenomeno inedito, senza precedenti che non si sa bene come approcciare. Da qui il panico. Negarlo d’altro canto vorrebbe dire non accettare l’idea che viviamo in una società in continua evoluzione; in fondo c’era anche da aspettarselo che prima poi avrebbero inventato un’applicazione anche per questo. C’è poi anche la questione della concorrenza: la legittimazione di Uber come metodo alternativo di trasporto significherebbe per i taxi un abbassamento “forzato” delle tariffe per non perdere di attrattività agli occhi dei consumatori.
A spaventare sempre di più il popolo dei tassisti ci sono in particolare due recenti partnership, che per il momento non sembrano interessare il nostro Paese. La prima che vedrebbe i servizi Uber integrati nell’ultimo aggiornamento di Google Maps (non c’è da stupirsene Google è fra i principali investitori dell’azienda), mentre la seconda relativa al recente accordo con la Telco americana AT&T. I termini dell’accordo prevedono che in futuro l’app sia già preinstallata nei dispositivi mobili della compagnia telefonica.
Ultimo dato di scenario: Uber sarebbe in procinto di formalizzare un maxi-investimento da 500mila dollari. Se l’operazione si dovesse concludere come riportato dal Wall Street Journal, l’“applicazione più odiata dai tassisti” raggiungerebbe una valutazione record di oltre 12 miliardi di dollari. Quanto basta per battere la concorrente Hertz e diventare leader assoluta nel settore noleggio auto.
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