Trattato TTIP, un campo minato
Nell’ambito della globalizzazione mondiale dell’economia e con l’obiettivo di esplorare nuove strade per l’uscita dalla crisi che continua a mordere, UE e USA hanno aperto una trattativa al fine di semplificare procedure, aumentare la standardizzazione e ridurre i costi nel campo del commercio alimentare. Il nome del negoziato è Transatlantic Trade and Investment Partnership, il cui acronimo è TTIP. Se ne prevede la chiusura entro il 2014, i negoziati sono tenuti direttamente tra la Commissione Europea (il gruppo è guidato dal tedesco Paul Nemitz, della Direzione Generale Giustizia) ed il Ministero per il Commercio Estero statunitense (con un folto gruppo di 600 delegati delle multinazionali). Per non creare turbative, tutte le trattative sono riservate e secretate, curiosamente, e per certi versi preoccupantemente, sono esclusi anche il Congresso ed il Parlamento Europeo, si tende all’omologazione delle normative e all’abolizione dei controlli e dei dazi doganali (finora necessari a evitare frodi, accertare la sicurezza dei prodotti, schivare i pericoli del bio-terrorismo), incentivando di fatto gli scambi commerciali tra i due continenti.
Appare evidente come la creazione di uno spazio comune teso ad incrementare gli scambi, contrapponga due visioni filosofiche completamente diversa tra le due sponde dell’Atlantico. Nella UE l’onere della prova della “non pericolosità” di un alimento prima della sua immissione nel mercato spetta al produttore, che deve produrre una quantità di analisi e documentazioni a sostegno. Sull’altro versante è lo Stato che deve dimostrare la perniciosità e quindi arrivare al divieto del prodotto incriminato; per semplificare, mentre in Europa si agisce a priori, negli Stati Uniti si interviene a posteriori.
Se da un lato i sostenitori del TTIP prevedono una crescita del Pil – proiettata al 2027 – tra i 68 e i 199 miliardi di euro per l’Ue e tra i 50 e i 95 per gli Usa, dall’altro 60 associazioni europee, politicamente trasversali, si sono coalizzate per denunciare le maggiori storture del TTIP, accusando governi e partiti di colpevole negligenza rispetto alle ricadute del nuovo trattato Usa-Ue. Anche in base a queste perplessità, parallelamente al TTIP è stato lanciato anche il Trade Sustainability Impact Assessment (Trade SIA). Affidato ad un organismo esterno indipendente (l’olandese Ecosys), valuterà le ricadute ambientali e sociali del trattato sulla Comunità.
L’esito positivo del negoziato accontenterebbe gli USA che voglio aumentare le esportazioni di grano e soia e la UE che vuole incrementare la vendita di prodotti finiti come l’olio ed i vini. Ma i motivi di attrito non mancano, la UE ha una normativa molto stringente sugli OGM, gli USA nessuna, e questa distonia legislativa potrebbe portare le multinazionali americane ad impugnare le norme UE di fronte ad un arbitrato privato. L’introduzione di un Meccanismo di risoluzione dei contenziosi tra investitori e Stati (Investor – State Dispute Settlement – Isds) permetterebbe alle imprese di chiamare in giudizio quei paesi che approvano leggi dannose per i propri investimenti. Si potrebbero vedere le norme UE condannate come «barriere commerciali illegali». Idem per le legislazioni europee sul lavoro, più rigide che negli Usa.
Se si intravedono vantaggi economici possibili non indifferenti da un positivo risultato della trattativa, in un campo così sensibile come l’agro-alimentare non si possono eludere i pericoli della massiccia presenza di lobbies e stakeholders che si sono inseriti in maniera pesante nella procedura negoziale. Sarà necessario un attento controllo normativo in fase di ratifica del Trattato da parte delle istituzioni Parlamentari Europee, a tutela della salute dei cittadini e per evitare ulteriori derive anti-europeistiche, molto facili visto che la nuova normativa potrebbe andare anche ad incidere su consolidati meccanismi nazionali come le certificazioni DOP e DOC.
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