Thailandia, una giunta militare non transitoria

Bangkok – Il “ritorno alla felicità” in Thailandia. Questo il motto abbracciato e sostenuto con fervore dalla giunta militare che ha preso il potere nel paese lo scorso 22 di maggio. Tale è il messaggio con il quale i militari stanno tentando di accreditarsi come i salvatori della patria. Questa settimana, un gigantesco evento dedicato al “ritorno del sorriso” è stato organizzato congiuntamente dalle autorità amministrative della capitale e dal Metropolitan Police Bureau. All’evento hanno preso parte alcune delle figure “più senior” dell’arma, a far intendere che non si trattava di una semplice marcia di cadetti ma di un mirato tentativo (seppure soft) di conquistare il cuore e la mente dei thailandesi.

Già, perché chi sperava che si trattasse solo di un colpo di stato lampo è rimasto deluso: i militari sono qui per restare. Infatti, un giro di visite diplomatiche per ricevere il benestare dei paesi dell’Asean è già iniziato, con Myanmar (presidenza di turno) come prima tappa dove il segretario permanente per gli Affari Esteri Sihasak Phuangketkeow ha incontrato il collega Wanna Maung Lwin per ricevere il supporto del paese e dell’intera regione. Tra i vicini di casa più illustri non facenti parte dell’Asean ma disposti comunque a dare “l’ok” alla giunta militare si è messa in prima linea la Cina.

Gli spin-doctor della giunta thailandese stanno agendo a tutto campo. Di fatto, se i suoi disegni politici cominciano a prendere gradualmente forma e la gente inizia ad accettare la presenza dei militari per le strade, la preoccupazione per le conseguenze economiche del coup rimane alta. Ma dalla camera di commercio thailandese fanno sapere che la fiducia dei consumatori nel mese da poco terminato è cresciuta per la prima volta in oltre un anno. Secondo Thanavath Phonvichai, direttore del centro di ricerca economica della camera di commercio, ciò significa che “la crisi politica è superata e l’economia sta tornado a crescere, con la spesa per i consumi destinata ad aumentare anche nel terzo trimestre e oltre”. Certo i dati derivanti dall’industria del turismo (uno dei traini dell’economia) sembrerebbero suggerire altrimenti, come ad esempio, dagli studi sui checkpoint situati ai confini del paese: da quello situato al Lao-Thai Friendship Bridge a Vientiane, si nota come dalla capitale laotiana si sia verificata una contrazione settimanale di ben 10.000 passaggi. Inoltre, la prospettiva internazionale non sembra essere più rosea, con già 63 paesi che hanno diramato un monito ai propri connazionali a non visitare la nazione o a prestare molta cautela. Dal NCPO (National Council for Peace and Order) fanno però sapere che molti di questi nei loro più recenti giudizi hanno già abbassato il livello di rischio sul paese, e tra questi c’è anche l’Italia.

Insomma, in attesa di assistere alle mosse future (riforma del sistema legislativo su tutte), pare essere ormai chiaro a tutti (a esclusione di una gran fetta di thailandesi) che la macchina della propaganda messa in moto dalla giunta militare sia già entrata prepotentemente in azione. Il compito di persuadere la nazione sulle sue “nobili” intenzioni non dovrebbe essere così difficile per Prayuth Chan-ocha (generale a capo della giunta), in un paese già abituato da qualche tempo a queste atipiche incursioni dell’esercito nella vita democratica dello stato (12 dalla prima guerra mondiale). Questo non vuol dire che sia necessariamente un male per il paese, infatti, le prospettive ben peggiori sarebbero state quelle di una possibile guerra civile. Certamente, c’è da sperare che non diventi un “vizio di famiglia” e che non sia preso come modello da cugini nella regione con democrazie molto meno mature e avanzate di quella thailandese.

©Futuro Europa®

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