Europa, un immaginario liberista lontano dalla realtà
Nell’immaginario della visione liberista la scomparsa degli strumenti di aggiustamento dei tassi di cambio fra i paesi dell’euro, può essere sostituita da misure che possiamo denominare “svalutazioni domestiche”. Dietro questa nuova espressione appare la volontà di rendere il “mercato del lavoro” sempre più flessibile e soprattutto di ridurre il costo del lavoro attraverso la riduzione dei salari e delle prestazioni sociali. I fautori delle “svalutazioni domestiche” sostengono che i deficit esterni dei paesi periferici sono insostenibili e vanno corretti malgrado l’impossibilità di svalutare. Senza un aumento della produttività all’interno dei paesi (come l’Italia), l’unica strada da percorrere è quella di ridurre prezzi e salari almeno del 10 % e fino ad arrivare al 30 %, al fine di guadagnare competitività nei confronti dei paesi del Nord Europa e soprattutto nei confronti della Germania. Gli effetti sarebbero equivalenti ad una svalutazione monetaria. In altre parole, svalutare i costi di produzione in assenza di possibili svalutazioni della moneta nazionale.
In teoria si ipotizza una riduzione dei prezzi e dei salari nella stessa misura, in modo tale che la ripartizione dei redditi fra i gruppi sociali resterebbe invariata e la domanda relativa degli agenti economici non subirebbe modifiche. Così i consumatori e i produttori non varierebbero i loro consumi e non sostituirebbero un prodotto con un altro. Questo scenario perfetto esiste soltanto nel mondo immaginario dei neoliberisti. Ma se apriamo gli occhi vediamo che il mondo reale è caratterizzato da rapporti di forza e dalle strategie dei gruppi sociali, e la riduzione dei prezzi e dei salari provoca sempre redistribuzione e sostituzione. I gruppi dominanti riducono i loro redditi in misura minore rispetto agli altri, incrementando la loro parte di ricchezza. Senza considerare che una riduzione generalizzata dei prezzi provoca una battuta d’arresto degli investimenti e riduce i consumi (perché acquistare oggi se domani i prezzi saranno più bassi?). La deflazione dei prezzi sfocia sempre nel crollo della produzione e nell’acuirsi della depressione.
Forse in Europa hanno dimenticato la lezione della Crisi del’29. Maggiore è il numero dei paesi che adottano le “svalutazioni domestiche”, più la domanda globale sarà affetta da queste politiche e più la recessione sarà forte. Come la guerra delle monete non produce risultati positivi, anche la guerra delle “svalutazioni domestiche”, in atto in Europea, non produrrà risultati positivi.
A guidare questo processo è oggi il paese più forte dell’UE, vale a dire la Germania, che sta creando talmente malcontento da far considerare al Regno Unito la possibilità di uscire del tutto dall’Europa. Berlino, con il suo bell’avanzo annuale (circa 150 miliardi di euro), ha naturalmente in mano il registratore di cassa dell’intera UE. Questo vuol dire che tale somma manca presso i suoi partner commerciali dell’eurozona che registrano un deficit nella bilancia dei pagamenti.
Tutto questo, contornato dalle prediche di Bruxelles che dice che la crescita è possibile se ogni paese mette ordine nella propria casa; il che risulta impossibile fino a quando la Germania continua a correre da sola.
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