Nei secoli fedele

L’Arma dei Carabinieri ha compiuto 200 anni. Se li porta molto bene, qualche ruga appena. Una delle istituzioni di questo nostro povero Paese che ancora è, in modo solido, un punto di riferimento.

Una grande storia quella dei Carabinieri. Vittorio Emanuele I° istituì il Corpo nel 1814 prendendo a modello la Gendarmeria francese; avevano compiti sia civili che militari e si occupavano di ordine pubblico ma anche della difesa della Patria. Il primo comandante in capo del Corpo fu il Generale d’Armata Giuseppe Thaon di Revel di Sant’Andrea.

Tanti gli atti di coraggio che sono passati alla storia; chi non conosce Salvo D’Acquisto, morto ventenne per salvare 22 suoi concittadini dalla cieca violenza nazista. Per arrivare a tempi più recenti, tutti noi abbiamo pianto per l’uccisione del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, un vero comandante, uno che sapeva ben distinguere il nemico e colpirlo, l’unico che davvero ebbe successo contro il terrorismo dell’epoca. Nel 1974 fu grazie a lui che lo Stato vinse: il Generale arrestò i vertici delle Brigate Rosse.

Uomini coraggiosi e con un grande senso del dovere ne sono pieni i libri di storia ma ci sono anche eventi meno noti. Quelli di tanti ragazzi morti dopo l’armistizio in posti con nomi difficili. Giovani di belle speranze sopraffatti da un Governo di inetti e inadeguati. Penso ad esempio ai reparti dei Carabinieri che erano in Jugoslavia, affamati, sporchi e al limite delle forze. In Jugoslavia, a Spalato, fu costituito Il battaglione Carabinieri Garibaldi per iniziativa del colonnello Luigi Venerandi e del colonnello Attilio Venosta che combatté a fianco dell’esercito jugoslavo di liberazione.

Ne morirono tanti, troppi. A loro fu assegnata un’onorificenza con questa motivazione: “Degni eredi delle gloriose tradizioni dell’Arma dei Carabinieri, già duramente provati prima e dopo l’armistizio, rifiutando reiterate offerte di resa, si univano ad altri reparti dell’Esercito che avevano iniziata l’impari lotta contro il tedesco. Partecipavano con essi ininterrottamente a lungo e sanguinoso ciclo operativo in terra straniera, fra inenarrabili stenti e privazioni, sempre primi laddove il rischio era maggiore. Decimati negli effettivi, ma centuplicati nello spirito, resistevano fino al compimento della leggendaria impresa unicamente sostenuti dalla inestinguibile fede nei destini della Patria, ad onore e vanto dell’Arma fedelissima”.

Io ho un ricordo personale di uno di questi sconosciuti eroi. Alla stazione di Trieste, una notte di quarant’anni fa, un uomo che scende da un treno e consegna a mio padre una piccola urna con dentro le ceneri di suo fratello, mio zio, un ufficiale dell’Arma morto in Jugoslavia. C’era la cortina di ferro allora, non era stato facile trovare dove era stato sepolto. Ora riposa in un piccolo cimitero battuto dalle brezze di ponente affacciato sul mare di Calabria, giovane ed eroe per l’eternità.

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