Renzi sappia che la politica è l’arte di rendere il necessario possibile

I ballottaggi hanno confermato sostanzialmente la vittoria a livello nazionale del PD, che ha conquistato città importanti come Bari e Bergamo e guida più di 160 comuni. La destra, grazie in gran parte alla Lega, è riuscita a non farsi totalmente travolgere. Grillo ha avuto un premio di consolazione, la conquista di Livorno, e la sconfitta in uno storico bastione della sinistra certo avrà un po’ appannato la soddisfazione in casa democratica. Com’è potuto accadere? Ci sono, molto probabilmente, spiegazioni di carattere locale. La sinistra governa il comune da 70 anni. Troppi, per non creare stanchezza e risentimenti. Ma la ragione centrale è politica. Il PD ha mantenuto al secondo turno i voti del primo. Ma sul candidato grillino, conti alla mano, si sono riversati tutti quei voti di centro-destra che non hanno scelto l’astensione (cosa avvenuta anche altrove e con reciprocità, tra FI, Lega e M5S). Niente di tragico, s’intende (si tratta di amministrare un comune di medie dimensioni, non di decidere le sorti del mondo).

Ma il fatto conferma cose che da tempo scrivevamo: tra berlusconismo e grillismo, al di là delle ovvie differenze, ci sono non poche affinità: l’odio per la sinistra democratica, innanzitutto, ora vero bersaglio di ambedue, l’eurofobia, il populismo in materia fiscale e molto altro. Però diciamolo chiaramente: se Berlusconi ha in mente un grande partito moderato, non lo realizzerà rincorrendo i grillini o facendo combutta  con gli alleati di Marine Le Pen. L’operazione di mettere insieme per vincere un’elezione forze accomunate solo dall’antipatia per la sinistra, riuscitagli due o tre volte, non potrà ripetersi, perché quelle forze sono uscite allo scoperto e sono la negazione della democrazia repubblicana. E se mai riuscisse, si tornerebbe a situazioni di ingovernabilità. La via è un’altra: è quella di far riferimento al nome e ai valori del Partito Popolare Europeo e attorno ad essi costruire con pazienza un blocco che sia rispetto al PD un’alternativa ragionevole e civile, non rozza e populista.

Ora, anche l’ultimo tormentone elettorale è alle spalle. I risultati sono quelli che sono: il PD ha i numeri necessari per governare assieme agli alleati di Centro-destra, il Movimento 5 Stelle, pur perdendo milioni di voti, si conferma una forza di cui tenere conto. E Forza Italia è riuscita a sopravvivere. Ora abbiamo davanti a noi 5 anni per le prossime europee e, almeno sulla carta, quattro per le politiche: uno spazio di tempo più che sufficiente per chi sappia quello di cui il Paese ha veramente bisogno e sia capace di realizzarlo, pur nella misura imperfetta di tutte le cose umane. Come si muoveranno le acque della “politica politicante” nei  rispettivi partiti, Dio solo lo sa. Mio padre, politico di lungo corso, diceva che i politici si dividono in due categorie: quelli a cui piace amministrare e vi dedicano le loro forze, e quelli a cui piace intrigare. Speriamo che in Italia torni a prevalere la razza dei primi, quelli che hanno preso un’Italia distrutta e umiliata dalla guerra perduta e l’hanno portata tra le grandi economie dell’Occidente. Il momento che viviamo non è – con tutte le ovvie differenze – meno serio di quello.

Il Presidente del Consiglio ha conquistato il PD prima, poi Palazzo Chigi e il 25 maggio il 41% degli elettori con piglio deciso, perché è riuscito a far passare l’immagine di un innovatore, non legato ai vecchi schemi della politica partitica. Però, mentre il piglio è rimasto integro, le altre qualità sono finora in stato piuttosto virtuale (e magari anche questo contribuisce a spiegare qualche flessione nei ballottaggi). Ora ha davanti a sé, in Italia e in Europa, sfide da far tremare. Deve portare a casa le riforme necessarie, dal Fisco alla Giustizia, dal Senato all’assetto federale, per non parlare della legge elettorale. E devono essere riforme ben fatte, destinate a durare, non raffazzonate. Deve sostenere una ripresa economica ancora troppo incerta e fare in modo che si estenda all’occupazione. Deve ridare dignità e mezzi all’educazione, alla cultura, alla ricerca scientifica. Deve affrontare senza esitazioni o remore la questione morale. In Europa, la partita è persino più vitale, perché senza l’Europa saremmo soli e debolissimi. Non sono tanto ingenuo da pensare che l’Italia possa guidare l’Europa,  ma è chiaro ogni giorno di più che deve e può agire con la necessaria autorevolezza e impegno perché l’Unione torni ad essere quello che è stata in passato e deve essere a pena di scomparsa: una fonte ideale di ispirazione e di speranza nel futuro.

Sono carichi pesanti, forse troppi per un solo uomo. Per questo sarebbe grave se gli venisse a mancare il sostegno di quelli che sono sulla carta i suoi amici e alleati, ma sarebbe altrettanto grave se il Premier si chiudesse in una sorta di chiusa autosufficienza, rifiutandosi di accettare le opinioni di quelli che allo stato dei numeri, sono alleati indispensabili, quando sono sensate e servono a rendere le misure che ci si attendono meno improvvisate. In fin dei conti è  stato lui a cercare questo carico e 4 elettori italiani su 10 gli hanno fatto fiducia e dato un mandato che, però, non è né in bianco né a tempo illimitato. Lui stesso dice: se fallisco è colpa mia e vado a casa. Ora dimentichi le squallide beghe partitiche, i sospetti incrociati, le battute al fulmicotone, e si dedichi  a governare, con decisione ma ricercando il necessario consenso (non dimentichi mai che la politica è “l’arte di rendere il necessario possibile”).  Nessuno poteva umanamente chiedergli di cambiare tutto in tre mesi, ma ora, dal tempo degli annunci passi al tempo dei fatti, solidi, concreti e capaci di riscuotere il più largo consenso possibile. In questa fase della nostra Storia non è permesso sbagliare, per precipitazione o arroganza. Dopo le tristi delusioni di questi venti anni, sarebbe tragico se anche questa speranza cadesse nel nulla.

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