Noi non demordiamo

Abbiamo accolto sin dal primo momento con sincera soddisfazione e fiducia la nascita del Governo Renzi, anche se con qualche comprensibile riserva circa le modalità di superamento di quello presieduto da Letta.

Abbiamo digerito responsabilmente, con umiltà e generosità, l’esclusione di Mario Mauro dall’esecutivo nell’interesse del Paese e del varo di un Governo ritenuto in grado di affrontare i gravi problemi dell’Italia.

Oggi, però, non nascondiamo le nostre preoccupazioni per un atteggiamento sempre più arrogante del segretario del Pd e per il facile asservimento alle sue improvvide decisioni da parte di alcuni senatori più realisti del re. L’esclusione d’autorità di alcuni membri della commissione Affari Costituzionali, tra i quali il presidente Mauro, perché non in sintonia con il Ddl del ministro Boschi sulla riforma del Senato, è stato un atto politicamente gravissimo. Un atto che riteniamo un’ulteriore provocazione alla quale non vogliamo dar seguito per senso di responsabilità e per non agevolare chi, assecondando Renzi, di fatto opera cinicamente per un indebolimento della sua immagine facendola apparire più arrogante di quanto già non lo sia di per sé. Tutti i regimi autoritari nascono da crisi sociali, valoriali ed economiche e ci si illude di risolverle con uomini forti al comando eletti in maniera plebiscitaria. Salvo poi abbatterli rovinosamente.

Ma perché non prendere esempio dalla storia della nostra repubblica democratica? Il 18 aprile del 1948, sul 92,2 per cento di votanti alla Camera, la Dc ottenne il 48,5 per cento dei voti con 305 seggi su 574. Sul 91,1 per cento di votanti al Senato, riscosse il 48,1 per cento conquistando 131 seggi su 237. Quindi la maggioranza assoluta. Eppure, malgrado questi numeri significativi, De Gasperi varò un Governo di coalizione tra Dc, Pli, Pri, Psli. E così di seguito nel corso di tutta la Prima Repubblica, con una nobile caratteristica: quando tra i partiti di coalizione dell’epoca si presentavano aspre diversità di vedute, non venne mai meno, al contrario di oggi, tra i rappresentanti degli stessi, il rispetto reciproco in termini politici e personali. Lo stesso avveniva nello scontro quotidiano tra maggioranza e opposizione. Epoca nella quale furono realizzate riforme straordinarie pur in presenza di una forte e aggressiva posizione del Pci di allora, si raggiunse un equilibrio tra pubblico e privato in alternativa al capitalismo e allo statalismo che dominava il mondo dell’epoca, tant’è che il Paese si risollevò dalle macerie della guerra, conobbe una fase di boom economico, la società prese confidenza con la vera democrazia, dando vita ad articolazioni associative autonome, sindacali e partitiche autorevoli, e l’Italia fu invidiata nel mondo intero acquistando il ruolo internazionale che le spettava. Il tutto in barba ai detrattori di professione di ieri e di oggi.

Ecco cosa significa per noi Popolari italiani voler dar vita a un partito che sia un riferimento per quella parte di elettorato che non si riconosce nella volubilità berlusconiana, nell’arroganza renziana, nella follia grillina. Un partito nel solco, nella cultura di quei valori espressi dal popolarismo degasperiano, divulgati in Europa da Schuman e Adenauer e che hanno dato vita al Ppe.

Governare un Paese come il nostro non è mai stato semplice. Eppure lo si è fatto con pazienza, tolleranza, mediazione, fantasia progettuale, alla luce di ideali e principi che forse oggi non sono più di moda ma che necessariamente vanno riscoperti se non si vuole consegnare la nostra società a uno sbando progressivo e rinvigorire la sfiducia nelle istituzioni da parte delle nuove generazioni.

Ecco cosa chiede l’Italia. E’ questo che la nuova classe dirigente deve offrire al nostro popolo. Si cambi dunque registro. Si diventi più umili, sobri, onesti, aperti al confronto con tutti e su tutto. La velocità decisionale, per quanto affascinante, è pericolosa: spesso si finisce fuori strada.

Non vorrei che la differenza tra Berlusconi e Renzi si limitasse al fatto che il primo comprava gli avversari, il secondo epura i dissidenti. Il tutto per avere maggioranze addomesticate che non sono la vera linfa della democrazia come noi la intendiamo. Ed è per questo che, alla luce delle numerose espressioni di solidarietà che provengono dal territorio nei confronti del presidente Mario Mauro, noi non demordiamo. Restiamo al nostro posto, non rinunciando alle nostre idee, convinti di essere nel giusto per il bene dell’Italia.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo è eurodeputato uscente del PPE e socio fondatore dei Popolari per l’Italia]

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