Inedite aperture
Deve essere un periodo di pentimenti e rinsavimenti, almeno per la facciata. Grillo “apre” a Renzi “legittimato dal voto”. Dopo il crollo della trionfale illusione di affermarsi come primo partito e far tremare il mondo, il comico genovese deve aver capito che una politica di sola, ostentata, opposizione a tutto e a tutti non paga.
Una virata di bordo parrebbe dunque nella logica delle cose, ma logica e motivazioni grilline superano i limiti del razionale e mi pare difficile che la mossa di Grillo possa condurre a qualche serio accordo tra PD e 5 stelle, al di là di qualche convergenza tattica su singoli punti. Sono divisi su tutto: Europa, istituzioni, politica economica, debito pubblico, a meno che Grillo non faccia una conversione a 360 gradi. Per ora, ha parlato di legge elettorale da fare in comune, ma non vedo come la sua posizione, fondata sul proporzionale, possa conciliarsi con la pozione del PD, che punta ad una forma o l’altra di maggioritario. Per ora, forse la spiegazione dell’inedita “mano tesa” sta nel proposito di mettere un cuneo tra il Premier e i suoi alleati di governo, spingere fuori gioco Berlusconi e magari seminare zizzania nello stesso PD, nel quale c’è da sempre una corrente estrema che, come Vendola e SEL, sogna un’alleanza con i grillini, mentre la maggioranza (specie degli ex-Margherita) le è contro. Se Renzi cadesse a pie’ giunti nella trappola, commetterebbe un errore da manuale.
Altra inedita apertura, senza ombra di dubbio ben più importante per il mondo, è quella effettuata dal Presidente iraniano, Rohani, agli Stati Uniti per una cooperazione in Irak. L’apertura è stata poi smentita a livelli più bassi del Governo di Teheran ed è ovvio che a certe correnti estremiste deve ripugnare un accordo col Grande Satana. Quanto agli Stati Uniti, in assenza di dichiarazioni ufficiali del Presidente Obama, non ci si può che affidare alle notizie e commenti della stampa, alcuni dei quali avallano l’idea di effettive aperture iraniane e di positivo interesse del Presidente a esplorarle, mentre altri smentiscono che da parte iraniana vi sia nulla di nuovo e di concreto.
Però, di ragioni per una cooperazione USA-Iran ce ne sono parecchie e si riassumono nel vecchio assioma: “il nemico del mio nemico è mio amico”. Usa e Iran sono egualmente preoccupati dalla rapida avanzata dei jihadisti islamici dell’ISIS in Iraq, che farebbe crollare il delicato equilibrio raggiunto negli ultimi anni a favore della componente sciita e metterebbe in mani estremiste le risorse petrolifere di quel Paese. Man mano che avanzano, i jihadisti massacrano brutalmente e a centinaia gli sciiti e questo ovviamente non può essere tollerato da Teheran. Come non può essere tollerato che si installi nel cuore del Medio Oriente un “Califfato islamico” di matrice sunnita e quindi automaticamente antisciita. Per questo Rohani si è formalmente impegnato a fornire aiuto militare all’esercito iracheno.
Per quanto riguarda Obama, vista la sua saggia decisione di non mandare truppe americane (ha solo inviato una portaerei nel Golfo che però potrebbe svolgere una preziosa azione di appoggio ad un alleato sul posto, che dispone di milizie armate e addestrate), l’eventuale coinvolgimento iraniano sul terreno può far comodo nell’immediato, pur aprendo numerosi e seri interrogativi per il futuro, vista la politica seguita dal 1979 in poi dagli Stati Uniti e impegnata a contrastare una supremazia degli Ayatollah nella Regione.
Vedremo nelle prossime settimane se e come questa possibile convergenza si concreti. Non è facile superare una ostilità reciproca che dura da quando gli Ayatollah hanno preso il potere in Iran, fugacemente interrotta solo dal maldestro tentativo di intesa sbozzato al tempo di Reagan e del Colonnello North. Anche recentemente, generali e ambasciatori americani di peso accusavano l’Iran (con ragione) di essere all’origine di una serie di atti terroristici che sono costati la vita a soldati statunitensi. E certamente, a Washington non manca chi vedrebbe un riavvicinamento come un’eresia, anche se non sono pochi quelli che pensano e scrivono che esso costituirebbe un vantaggio per gli Stati Uniti. Obama deve inoltre tener conto della probabile opposizione di Turchia e Arabia Saudita (alla quale gli iraniani attribuiscono appoggio e finanziamento alla guerriglia jihadista.) Resta da vedere quale delle due paure – dell’Iran e di un Irak convertito all’estremismo sunnita – sia più forte per Ankara e Riyad. Il Medio Oriente è come un vasto campo di sabbie mobili, in cui tutto può avvenire e non è sempre possibile capire chi è dietro cosa. Può dunque prevalere la logica del “nemico del mio nemico” o quella dettata da radicati rancori reciproci e dei calcoli complicati dei turchi, sauditi e altri arabi del Golfo, per i quali l’Iran è sempre il vero spauracchio. E bisogna vedere quali conseguenze avrebbe sull’attività di Al-Qaeda, ostile sia all’Iran che all’Occidente. E quale influenza sulla guerra civile in Siria.
È certo comunque che se un avvicinamento Washington-Teheran si verificasse di fatto, anche sulla scia delle aperture iraniane in materia di programma nucleare (le conversazioni riprendevano lunedì scorso a Ginevra) assisteremmo a una importantissima redistribuzione di carte nel Medio Oriente.
L’Italia da tempo pensa che per cercare di stabilizzare quel mondo in ebollizione, una convergenza americano-iraniana sarebbe più che consigliabile (e i buoni rapporti che da tempo intratteniamo con l’Iran potrebbero servire a qualcosa). Ma le carte le hanno in mano altri giocatori. Stiamo a vedere. La partita è appena aperta e sarà certo interessantissima.
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