Un piano di pace per l’Ucraina
Sin da quando è iniziata la vicenda dell’Ucraina, alcuni punti mi sono parsi chiari e altrettanto ho cercato di renderli ai lettori di Futuro Europa. Il primo era che a nessuno deve o può essere consentito opporsi alla scelta “europea” della maggioranza degli ucraini; il secondo è che il passaggio della Crimea alla Russia era, per molte ragioni storiche e geo-politiche, inevitabile, di fronte alla manifesta volontà dei suoi abitanti di essere russi e alla ovvia disposizione di Mosca ad accettarli; il terzo è che il vero problema risiedeva nelle altre regioni dell’Est che, lingua a parte, fanno parte da secoli del “corpus” ucraino; il quarto è che Stati Uniti ed Europa dovevano schierarsi decisamente al lato dell’Ucraina per difenderne l’integrità territoriale e la libertà di decisione e la NATO doveva rassicurare gli altri vicini della Russia timorosi del suo neo-imperialismo, rendendo chiaro a Putin che un’eventuale aggressione o minaccia militare all’Ucraina avrebbe comportato conseguenze gravi nei rapporti tra la Russia e l’Occidente e per l’economia russa.
Ero convinto – e l’ho scritto – che né ad Est né ad Ovest nessuno potesse veramente contemplare un conflitto armato, catastrofico per tutti, ma che era necessario fissare sin dall’inizio e con decisione i necessari paletti, perché solo la prospettiva di serie sanzioni, di una messa al bando dai principali direttori mondiali e di un’accresciuta presenza NATO in Polonia e nei Paesi Baltici avrebbe potuto consigliare Putin (giocatore di scacchi, non d’azzardo) a muoversi con prudenza. C’era però un quinto punto, di cui anche ho scritto: le Autorità ucraine dovevano muoversi con saggezza e prudenza, non rifiutandosi a priori di considerare le istanze dei russofoni dell’Est e qualche giusta esigenza russa per quanto riguarda, ad esempio, la sicurezza dei gasodotti. Era forse impossibile chiederlo agli ucraini al momento in cui affrontavano una ribellione armata, a cui nessun paese sovrano può evitare di dare una risposta. Era però augurabile – scrivemmo allora – che il momento della politica giungesse con l’elezione di un nuovo presidente a Kiev. Ora che Poroshenko è stato eletto con una maggioranza che gli dà sufficiente forza, il momento della politica sembra effettivamente avvicinarsi.
Poroshenko ha infatti presentato in TV un piano di pace in 14 punti, che ha come primo punto la cessazione dei combattimenti nel giro di 10 giorni, con l’impunità per i ribelli che non si siano macchiati di gravi delitti e la creazione di un corridoio perché chi di loro voglia possa passare in Russia. Affrontando il nodo più complicato della situazione, il Presidente ucraino ha offerto cambi costituzionali che rafforzino i poteri delle regioni e la loro autonomia (senza creare però un sistema federale) e diano maggiori garanzie per la protezione delle minoranze russofone e per l’uso e insegnamento della loro lingua.
È l’inizio della pace? Evidentemente no. È semplicemente un primo passo nella buona direzione. Ora la palla passa nel campo dei separatisti e dei loro sostenitori del Kremlino. Se accettassero di discutere sulla base dei 14 punti di Poroshenko, si aprirebbe un negoziato certamente difficile e lungo (al termine del quale sono convinto si arriverebbe a qualche tipo di organizzazione federale, se non altro di fatto). Se insistessero sulla strada della rivolta armata giustificherebbero una repressione ancor più dura di quella già in atto e metterebbero la Russia in una posizione estremamente delicata (anche in questo caso, converrebbe comunque all’Ucraina andare avanti con le modifiche costituzionali proposte, togliendo così giustificazione e motivazione ai separatisti). È da augurarsi che Putin continui a muoversi con la prudenza mostrata dopo l’annessione della Crimea, trofeo non da poco. Certo, egli ha per il suo Paese un disegno neo-imperiale, del quale l’Ucraina è (o era) parte decisiva. Ma nemmeno lui può costringerla a fare quello che i suoi cittadini non vogliono, se non con pressioni o azioni di forza, militare o economica, che provocherebbero una crisi Est-Ovest che non conviene a nessuno. Le sfide che minacciano Occidente e Russia insieme – dall’integralismo islamico all’emergere della superpotenza cinese – sono troppo serie e complesse per permettersi di tornare ai vecchi giochi della guerra fredda.
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