Senato, i punti oscuri della riforma
Con l’accordo PD-FI, pare che la riforma del Senato si avvii verso una definizione. La controversia sull’immunità per i membri di questo nuovo Senato pare, in verità, abbastanza secondaria e non tale da bloccare l’intera riforma. Nel merito, si può solo osservare che le immunità sono state sempre, storicamente, previste a protezione degli eletti del popolo contro l’eventuale abuso da parte di altri poteri, esecutivo e giudiziario, e quindi non paiono congrue per i membri di una camera formata con una designazione di secondo grado. Dovrebbe peraltro restare, a mio avviso, l’immunità per le opinioni espresse dai senatori nell’esercizio delle loro funzioni.
Nel suo insieme, Il progetto di cui si discute in Commissione costituisce un miglioramento rispetto a quello, abbastanza discutibile, presentato originariamente dal Governo, segno che il Premier ha accolto l’invito alla flessibilità che gli veniva da molte parti (anche da queste colonne) rivolto. Nell’impianto attuale vi è una certa maggiore coerenza, sia nelle funzioni attribuite al nuovo Senato, sia nella sua composizione, che ne fa in modo più chiaro l’espressione della autonomie locali. A un primo sommario esame, pare essersi adottato in gran parte il modello tedesco, con funzioni specificamente indicate e senatori designati dalle Assemblee regionali. Certo, sarebbe meglio (e tanto più democratico) se i senatori fossero eletti direttamente dal popolo, come previsto nell’emendamento presentato dal sen. Mauro dei Popolari per l’Italia. Una elezione di secondo grado, infatti, inevitabilmente diminuisce la rappresentatività e il prestigio dei prescelti, nonché la loro indipendenza di giudizio, facendone meri rappresentati delle Assemblee da cui derivano, ai quali sarà difficile attribuire il precetto costituzionale del “non-vincolo di mandato”. Per fortuna si è almeno avuto il buon senso di proporzionarne il numero alla popolazione delle rispettive Regioni e di prestabilire una rappresentanza politicamente equilibrata. Siamo, comunque, su un terreno istituzionale del tutto nuovo e solo il tempo dirà se e come il sistema funzionerà.
Intanto, restano alcuni punti oscuri, che non mi paiono chiariti dal testo in discussione (o perlomeno da quello diffuso dalla stampa, peraltro tanto spesso incompleta e superficiale). Per esempio, non ho capito se resta o no la rappresentanza degli Italiani nel Mondo, prevista nel testo governativo. Dovrebbe esserci, se il Senato mantiene una logica di rappresentanza di interessi locali, visto che gli Italiani che vivono all’estero sono divisi per legge costituzionale in grandi circoscrizioni territoriali. È vero che queste ultime non dispongo o di assemblee elettive, ma non dovrebbe essere difficile organizzare una designazione di senatori da parte dei COMITES o del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero. Altrimenti, questi ultimi perderebbero presenza e voce in una delle due Camere.
Non ho capito, inoltre, se del Senato è previsto facciano parte gli ex-Presidenti della Repubblica, come mi sembrerebbe normale. Quanto ai Senatori di nomina presidenziale, osservo che sono stati riportati a cinque (dai venticinque previsti nel progetto originario) e la durata del loro mandato non sarà più a vita, ma settennale. Resta comunque una certa incongruenza nel mischiare membri che rappresentano le autonomie locali e membri di tutt’altra (anche se rispettabilissima) origine.
Non capisco inoltre se i membri del Senato parteciperanno in persona all’elezione del Capo dello Stato o se per essa saranno nominati dalle Assemblee Regionali, volta per volta, appositi “grandi elettori” (mi parrebbe un doppione assurdo, ma è quello che risulterebbe da una prima lettura del progetto di legge).
Un punto importante mi pare però riguardi le sorti del Senatori eletti nel febbraio 2013 e tuttora in carica. Modificarne le funzioni in corso di mandato non è proprio di buona pratica istituzionale, ma può anche essere accettato. Mandarli a casa prima della scadenza naturale mi parrebbe invece una burla della volontà popolare espressa nelle elezioni (e non so come sarà possibile farlo digerire ai nostri “patres conscripti”). Questo, s’intende, a meno di elezioni generali che rinnovino l’intero Parlamento. Ma non è quello che il Premier dice di volere.
È da augurare che questi punti vengano via via chiarendosi in modo accettabile. Quando si propone una riforma di questa portata, c’è almeno da sperare che non contenga troppe buche.
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