American dream, Warhol
La mostra Andy Warhol, american dream a cura del rinomato Achille Bonito Oliva presso l’MdM (Monte di Mola) Museum di Arzachena (Olbia) fino al 21 settembre centra perfettamente il personaggio bisognoso d’attenzioni e allo stesso tempo schivo che ha calcato la scena newyorkese e mondiale per quasi 30 anni (1962-1987).
Andy Warhol o meglio Andrew Warhola, figlio di emigrati ruteni, emerge dallo sfondo tinto di pura omologazione e banalità quotidiana e realizza l’American dream (nato nel XVI secolo) attraverso la sua Pop Art, quale arte di massa prodotta in serie, anonima in quanto senza volto come la massa stessa.
Egli ha raggirato i mass media, la pubblicità e il capitalismo usa e getta servendosi delle tecniche attraverso le quali questi asserviscono a sé la massa, così da passare dalla downtown del Village e dal Lower East Side agli ambiti Upper East Side e Park Avenue.
L’ottica commerciale pronta a lanciare nuovi beni di consumo l’ha sempre reso vincente, che si trattasse di mostre, eventi, mode, cinema e artisti da far emergere. L’esposizione articolata in 5 sezioni mette in luce tramite opere uniche, multipli in edizioni limitata e a larga tiratura, provenienti perlopiù da collezioni private italiane, le numerose sfaccettature di Andy, artista e soggetto trendy e provocatorio dalle ampie vedute.
Nella prima è presentato in anteprima un video inedito girato da Warhol e Peter Wise nel maggio 1982. Segue poi un blocco dedicato ai ritratti commissionatigli da noti imprenditori italiani o di frequentatori influenti della Silver Factory, il suo studio, come Nico e l’artista Joseph Beuys, e al ciclo Shoes Diamond Dust e ai Camouflage.
L’artista ritorna nel 1980 dal lontano 1956 alle scarpe da donna col tacco, motivo glamour, legato alla moda e al denaro. Tinte accese emergono dallo sfondo tinto di nero e cosparso dalla polvere di diamante, elementi scansionati da un negativo fotografico e da un passato di illustratore pubblicitario.
I Camouflage dal 1986 rappresentano la chance per lavorare con un pattern astratto e un’immagine immediatamente riconoscibile. Il camouflage di tipico uso militare si veste di colori brillanti sintetici e inorganici e viene spesso incorporato in autoritratti. L’iniziale funzione di nascondere attraverso la mimetizzazione data da un maquillage cromatico al contrario evidenzia nella giungla urbana in continuo mutamento e diventa elemento modaiolo.
La terza parte è dominata dal portfolio Marilyn (1967), dalla serie Ladies and Gentlemen (1975) e da quella Hans Christian Andersen (1987). Nel primo caso la ripetizione ossessiva e la riproducibilità potenzialmente infinita dell’immagine consumano il mito e fanno perdere il significato. In accordo con la logica commerciale, all’identica immagine vengono cambiati esclusivamente i colori per creare una nuova icona data dalla sola immagine.
Ladies and Gentlemen ci pone «di fronte al Travestito e alla ristretta rosa delle sue, sia pur innumerevoli, varianti», come scrive Pier Paolo Pasolini nella recensione della loro prima esposizione al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. 40 versioni serigrafiche delle star del club newyorkese The Gilded Grape a tre-quarti atteggiate con espressioni similari nella fotografia che «sembra sempre ossessivamente la stessa».
La penultima sezione riserva le collaborazioni come produttore e grafico di copertine di album avute dal 1949 con case discografiche, cantanti e gruppi musicali, ad esempio Thelonious Monk, Aretha Franklyn, i Velvet Underground e i Rolling Stones. L’esposizione si conclude con 5 T-shirt riproducenti opere dell’artista per comunicare il concetto di riproducibilità dell’arte, proprio come dimostra la giovane manovalanza della Silver Factory che riproduce meccanicamente con la massima impersonalità dell’esecuzione.
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