Cronache dai Palazzi
Continua il percorso verso le riforme e si prefigurano geometrie variabili per la maggioranza che dovrebbe sostenere la riforma del sistema elettorale. L’incontro tra i grillini e il Pd di Renzi si è rivelato “sereno e proficuo” come auspicato, e le due delegazioni si sono lasciate con l’intenzione di rivedersi. Due i nodi fondamentali del dialogo avvenuto nella sala della terza commissione Esteri della Camera, doppio turno e preferenze, in pratica gli elementi più indigesti per i forzisti e Berlusconi, i contraenti del patto del Nazareno. Sulle preferenze il leader di Forza Italia è stato categorico, mentre ha già dovuto ingoiare il ballottaggio tra le due coalizioni più consistenti, che per godere del premio di maggioranza senza aver superato una certa soglia dovrebbero sfidarsi in una competizione numero due.
Nell’incontro con Renzi, Di Maio è stato invece categorico a proposito di coalizioni: “Dobbiamo impedire le ammucchiate fatte per la fretta di vincere”, ha affermato il vicepresidente della Camera. “Grazie per aver accettato il nostro invito e per lo streaming. Siamo qui con spirito di responsabilità – ha sottolineato inoltre Di Maio – la nostra proposta di legge elettorale non è a scatola chiusa”. Mentre Toninelli, l’esperto di legge elettorale dei pentastellati, ha annunciato “il Democratellum: rapporto diretto con gli elettori, pulizia delle liste. I candidati si possono scegliere e anche cancellare. Inoltre, scheda disgiunta fra partiti e preferenze: se un candidato prende troppi voti rispetto al partito non sarà eletto. Niente coalizioni”. Renzi a sua volta è stato critico sulla possibilità di cancellare un candidato, “mi ricorda le nomination del Grande fratello”, ha esordito il premier, aggiungendo: “Una legge così la chiamerei Complicatellum o Grandefratellum”. Per Di Maio “la cancellazione dei nomi serve a evitare ‘impresentabili’ nelle liste” e non è mancata qualche stangata al Pd: “Pensate a cosa è successo con quel vostro deputato per cui è stato da poco richiesto l’arresto”, ha sottolineato Di Maio ai democratici. “Il Pd ha votato per l’arresto”, ha ammonito Renzi, ribadendo che il Pd usa lo strumento delle “primarie” per scegliere i propri candidati. “Tu Di Maio hai preso on line 182 voti – ha affermato Renzi – da noi non bastano nemmeno per un consigliere regionale. La Moretti, qui, ha preso 230 mila preferenze, il primo di voi trentamila”. A questo punto Di Maio ha rivendicato al Pd “una tradizione di 60 anni”, sottolineando inoltre che il Movimento 5 stelle non ha “mai avuto il mercato delle tessere”.
L’epilogo sintetizzato da Di Maio è stato comunque il seguente: “Troviamo i punti di caduta comuni e facciamo una legge elettorale assieme”; di conseguenza Renzi ha dettato i suoi 5 punti. I primi due: “Chi vince governa. Mai più larghe intese ma patti chiari prima del voto”. Su questo secondo punto il premier ha sferzato un colpo basso ai pentastellati: “se aveste raccontato l’accordo con Farage prima delle elezioni, vi avrebbero votato?”. Gli altri tre punti di Renzi: “Rimpicciolire i collegi, chiedere alla Corte costituzionale un giudizio preventivo sulla nuova legge. Infine: siete disposti anche a ragionare di riforme costituzionali?”, ha chiesto ai grillini. Di Maio ha chiesto invece alla delegazione dem se sarà riaperto “il termine degli emendamenti”, e Renzi ha assicurato che si discuteranno “quelli già presentati”, chiosando: “Mettiamo sul sito i nostri 5 punti entro venerdì (27 giugno, ndr), rispondete e ci rivediamo”.
“Aspettiamo, sul sito, il bilancio del Pd del 2003!”, esplode Di Maio, chiosando a sua volta con parole chiare e tutt’altro che bellicose: “Noi, sia chiaro, non siamo né contro i doppi turni né contro il premio di maggioranza. Ma non vogliamo coalizioni-ammucchiate con Mastella. Sulle riforme, se c’è la volontà di discutere, apriamo un tavolo da domani”. In definitiva Renzi resta fermo sull’esigenza della “governabilità” e “apre” alle preferenze, mentre Di Maio non “chiude” alle riforme costituzionali.
Non è un fattore da sottovalutare che, nello stato attuale, Forza Italia rischia di non essere uno dei primi due partiti, scavalcata dal movimento di Beppe Grillo. Renzi inoltre ha già ottenuto un rilevante 40 per cento, superando la soglia minima di voti per ottenere il premio di maggioranza e confermandosi il partito numero uno del Paese. Finora Berlusconi è stato ai patti accettando più o meno tutto, pur di preservare il proprio ruolo di sponda ufficiale dell’esecutivo e pur di intestarsi le riforme istituzionali per incarnare il ruolo di Padre della Patria. Ma ora sulla scena subentra un M5S non più legato al “no” pregiudiziale bensì dialogante, pronto a rimettere di nuovo in discussione il panorama politico e prefigurando nuovi equilibri in nome delle riforme fondamentali per il Paese.
Sulla riforma del Senato un cambio di maggioranza appare inverosimile ma sulla legge elettorale risulta possibile, con Grillo pronto a smentire tutti coloro che finora hanno ritenuto che i voti concessi ai grillini non servissero a nulla, con Renzi propenso a liberarsi dei vincoli siglati con il patto del Nazareno e, infine, con Berlusconi che potrebbe pentirsi per aver creduto, ancora una volta, alle parole del premier: “Silvio, stai sereno”.
Si preannuncia un piccolo terremoto tra i partiti e al centro del caos c’è ancora una volta (e non a caso) la riforma del sistema di voto, per cui Forza Italia, temendo un asse Pd-M5S a proposito di legge elettorale, si dichiara pronta a votare “presto” l’Italicum che, come ha sottolineato il capogruppo forzista Paolo Romani, “ha visto l’approvazione alla Camera proprio grazie ai voti di Forza Italia”. Paolo Romani ha inoltre aggiunto che “sarà così, in tempi brevi, anche al Senato” ed è convinto della tenuta del patto del Nazareno.
Asse trasversale intanto (35 firme raccolte tra i Senatori, di cui 18 appartenenti alla maggioranza di governo) sulla riforma del Senato con subemendamenti per un Senato elettivo (elezione diretta da parte dei cittadini e non “nominato” tra i consiglieri locali). In una Conferenza stampa congiunta del Senatore dei Popolari per l’Italia Mario Mauro con Vannino Chiti e Felice Casson (Senatori della minoranza PD), la capogruppo Misto-Sel al Senato Loredana De Petris e Francesco Campanella (Italia lavori in corso, ex M5S) sono stati illustrati i subemendamenti depositati in Commissione Affari Costituzionali sulla proposta di riforma del Senato la cui votazione è prevista in Commissione lunedì prossimo. Le proposte dei relatori alle riforme, frutto dell’accordo tra governo e Forza Italia, “sanciscono la deriva autoritaria della Repubblica. La mia partecipazione a questa iniziativa – ha dichiarato il Senatore Mauro nel corso della Conferenza Stampa – ha un intendimento politico: da oggi dobbiamo fare proseliti, dentro e fuori il Parlamento, con tutti i leader politici possibili”.
Anche il Nuovo centrodestra rilancia la proposta di un “Senato elettivo”, respinta dal governo e condivisa dai pentastellati. Ncd ripropone inoltre il “fallimento politico”, ossia il divieto di ricandidarsi, per sindaci e governatori che fanno bancarotta.
In questo frangente il governo sta infine studiando una terza via per superare l’impasse legata all’immunità dei futuri cento senatori, scelti tra consiglieri regionali (74) e sindaci (21), più i 5 di nomina presidenziale. Alla dicotomia immunità sì/ immunità no subentra infatti la proposta di un’immunità piena – come previsto dall’articolo 68 della Costituzione (insindacabilità, autorizzazione per arresto, perquisizioni e intercettazioni) – che però non coprirebbe l’attività amministrativa dei senatori che restano pur sempre degli amministratori locali. Il sottosegretario alle Riforme, Luciano Pizzetti, sottolinea infatti “l’ipotesi di escludere dall’immunità le attività degli amministratori locali”. L’ipotesi più accreditata è quindi quella di non modificare l’articolo 68 della Costituzione, arricchendolo magari di un quarto comma che contempli le esclusioni riferite all’attività amministrativa dei senatori/sindaci/consiglieri.
L’ultimo calendario della riforma del Senato e del Titolo V (federalismo) prevede che si inizi a votare in Commissione su emendamenti e subemendamenti (581) solo alle 16 di lunedì 30 giugno: “Poi avremo bisogno almeno di tutta la settimana anche con sedute notturne”, annuncia la presidente (relatrice) dem Anna Finocchiaro, mentre – come abbiamo già riferito – un gruppo di senatori (35), di cui diciotto della maggioranza, hanno già depositato un sub-emendamento che ripropone il Senato elettivo. A rischio non è tanto il voto in Commissione quanto quello in Aula.
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