Il Consiglio europeo di Ypres
Mi ha colpito la straordinaria simbologia di un Consiglio Europeo di grande importanza tenuto a Ypres, luogo di una delle più sanguinose battaglie della Prima Guerra Mondiale, che ha visto l’immane massacro di oltre 600.000 giovani vite, vittime della follia nazionalista di alcuni governanti europei. Ypres è il simbolo di un orrore che si è purtroppo ripetuto nella Seconda Guerra Mondiale ma che non deve mai più, mai più ripetersi. Per questo è nata l’integrazione europea: perché una tragedia così non torni più a insanguinare il nostro Continente. Chi non lo capisce o lo dimentica, chi tenta di riproporci demenziali nazionalismi e chi riduce quello che è e resta un grande ideale di pace e di progresso a rigurgiti del passato o a calcoli elettorali di corto respiro, è pericoloso e degno di disprezzo.
Consiglio, dicevo, importante, sia per le nomine ai vertici delle istituzioni, sia per la “Agenda strategica per il futuro dell’UE” adottata sulla base del documento Van Rompuy. La designazione di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione è una buona cosa, sia per il metodo che per la persona prescelta. Sarebbe stato triste se i Governi dell’Unione si fossero dimostrati incapaci di decidero. È bene per questo che si sia passato sopra all’arrogante veto inglese e si sia votato con una maggioranza di 26 contro 2 (a quanto pare, Cameron avrebbe voluto usare il “compromesso di Lussemburgo” che permette di porre il veto in casi di estrema importanza, ma è stato il suo stesso governo, con un po’ di buon senso, a vietarglielo). Ed è ottimo che i Governi nazionali abbiano rinunciato alla discrezionalità del passato e si siano inchinati, per la prima volta, alle indicazioni del maggior gruppo politico emerso dalle elezioni di maggio (il PPE, partito Popolare Europeo) e quindi del Parlamento Europeo, organo direttamente rappresentativo della volontà popolare. Ciò conferisce indubbiamente al Presidente della Commissione un inizio di legittimità popolare che finora gli era mancata. Non era un mistero che i Governi di centro-sinistra avrebbero preferito un socialista (Schulz) e che la stessa Cancelliera Merkel aveva qualche perplessità nei suoi confronti. Sia lei che Hollande e Renzi hanno dunque dato prova di intelligenza e realismo, adeguandosi alla forza delle cose ed evitando un braccio di ferro con Strasburgo che sarebbe stato distruttivo per tutti. Ora la strada per l’approvazione del Presidente della Commissione da parte del Parlamento è più facile. Però i Popolari da soli non hanno la maggioranza assoluta: devono avere l’appoggio dei socialisti (e se possibile dei liberali) ed esso verrà solo se nelle ulteriori designazioni ai principali posti europei i socialisti riceveranno le contropartite che si aspettano.
Quanto alla persona scelta, Juncker dà garanzie di esperienza e saggezza. Ha dietro alle spalle un curriculum di tutto rispetto: Ministro del Lavoro a 28 anni, Ministro delle Finanze a 35, Primo Ministro a 45 anni, ininterrottamente dal 1995 al 2013. Membro dei Consigli di Amministrazione del Fondo Monetario, della Banca Mondiale e della Banca Europea di Sviluppo, Presidente dell’Eurogruppo (cioè dell’organo che riunisce i Ministri delle Finanze dei Paesi dell’Eurozona) dal 2004. Il fatto che la sua carriera politica si sia svolta in un piccolo paese non deve fuorviare. Ho lavorato ai miei tempi con una presidenza lussemburghese dell’Unione e posso dire che, per conoscenza del mondo, realismo e visione politica, i maggiori dirigenti di quel paese non hanno molto da invidiare a quelli di paesi ben più importanti. Il fatto di fare ombra a nessuno dà anzi loro un vantaggio aggiuntivo, perché evita le gelosie e i sospetti che sollevano gli esponenti dei Paesi maggiori. Un dato è presente nel corso di tutta la carriera di Juncker: il suo dichiarato e totale europeismo, classico e credibile nel rappresentante di un piccolo paese situato nel cuore dell’Europa e strettamente legato al futuro di essa: un dato non secondario in un momento in cui l’Europa deve essere diretta da chi in essa crede e non da uno degli euro-scettici che spuntano qua e là come funghi velenosi. L’opposizione isolata di Gran Bretagna e Ungheria era del resto motivata proprio da questo fattore. Il lussemburghese, secondo Cameron, ha la colpa grave di essere “federalista”. Come già la Thatcher al momento dell’adozione dell’euro e lo stesso Cameron contro il “fiscal compact” voluto dai tedeschi, il Primo Ministro inglese ha dovuto rendersi conto che l’Inghilterra da sola non conta molto in Europa, malgrado le bravate (viene alla mente un titolo del Times di fine del XIX Secolo: “Tempesta sul Canale: Europa isolata”!). Il Premier ha mostrato la sua rabbia impotente quando ha profetizzato che i Governi europei “si pentiranno amaramente” della scelta operata. Cosa voleva dire? Che Juncker si comporterà da dittatore? Che provocherà disastri? O che la sua nomina contro la volontà di Londra accelererà il distacco dell’Inghilterra dall’Unione? Costa dirlo ma, se cosí deve essere, alla fine, ben venga! Almeno finirà la fronda interna che sistematicamente tenta di paralizzare gli sviluppi dell’integrazione.
Tutto bene, dunque? Non del tutto. Juncker a prima vista può non apparire l’innovatore visionario di cui l’Europa ha bisogno. Ma le linee di sviluppo dell’Unione nei prossimi anni spetta ai Governi definirle. Bene perciò hanno fatto Renzi e Hollande a condizionare il loro appoggio all’approvazione di un documento programmatico che, nel chiarire tali linee, vincoli in qualche modo anche l’attività della futura Commissione.
Con la designazione del Presidente della Commissione, restano da coprire altre importanti caselle: Presidenti del Consiglio Europeo, del Parlamento e dell’Eurogruppo e Ministro degli Esteri. Andranno certo rispettati gli equilibri politici e le aspettative dei maggiori Paesi. È logico che al gruppo socialista spetti la Presidenza del Consiglio o almeno quella del Parlamento e che a posti significativi puntino Francia e Germania. Quanto all’Italia, il Premier ha ricordato che avendo noi Draghi alla BCE, è difficile pretendere altre presidenze. Ha ragione, ma poteva risparmiarsi di dirlo, dando l’impressione di voler tagliare le gambe alla candidatura di Enrico Letta al posto di Van Rompuy. Credo che da queste colonne siamo stati i primi, vari mesi fa, a dire che la Presidenza del Consiglio potrebbe non essere una meta impossibile, se giocassimo le buone carte che abbiamo: Mario Monti ed Enrico Letta. L’ipotesi Monti è ora scartata, visto che l’area popolare ha già espresso Juncker. Ma Letta appartiene al PD e a suo favore, oltre al fatto di essere stato Presidente del Consiglio, giocano le solide amicizie europee. Non so quali obiettivi si ponga Renzi e quali tattiche intenda seguire in questa complessa partita delle nomine. Ma se il nome di Letta dovesse venire fatto da altri (Germania?) sarebbe ingeneroso e sciocco da parte sua fare la fronda. Se poi l’ipotesi cadesse, capisco l’ambizione ad avere un Ministro degli Esteri dell’UE italiano, ma dubito che (a parte lo stesso Letta) disponiamo di un candidato davvero forte. La Mogherini è brava e conosciuta in Europa, ma ha l’esperienza necessaria? Quanto a D’Alema, già la sua candidatura fu bocciata cinque anni fa, quando fu scelta la Ashton. Riuscirebbe Renzi a imporla questa volta? Però c’è qualcosa che il governo può fare in tutta autonomia: designare un Commissario italiano autorevole e capace (come a suo tempo furono Mario Monti ed Emma Bonino) che possa ottenere un incarico di peso effettivo.
Un’ultima annotazione: a Ypres è stato firmato dal Presidente Poroshenko l’Accordo d’associazione UE-Ucraina. Considerato tutto quello che è successo attorno a questo problema, non mi sembra un fatto da poco!
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