Stampa italiana e stupidaggini sul Brasile

Il problema nasce dal fatto che gli italiani non conoscono il Brasile, ma pensano di conoscerlo, e bene. Da qui nasce una lunga serie di castronerie dette in TV o scritte sui giornali. Certamente la cosa ha antenati eccellenti: Cristoforo Colombo non capì di aver scoperto l’America, ma morì pensando ancora di essere arrivato nella terra degli antenati di Indira Gandhi. L’Italia non ha nel paese un corrispondente di giornale, la sede RAI era fino a poco tempo fa a Buenos Aires, come dire mettere a Madrid una rappresentanza per capire l’Europa. La televisione brasiliana Globo ha un inviato a Roma che trasmette con frequenza pezzi precisi e misurati. Ho sperimentato, durante l’elezione del Papa, la professionalità dei giornalisti brasiliani su un terreno difficile e complicato come è l’elezione di un Pontefice.

Ma il problema non è quello che i brasiliani dicono di noi, ma quello che noi diciamo e scriviamo di loro. Altro problema è chi dice più stupidità tra la TV e giornali: cerchiamo di dare un contributo alla sua soluzione. Partiamo dal giugno dell’anno scorso, quando il Brasile fu agitato da una serie di proteste, anche molto violente. L’inviato della RAI disse: “la Rousseff ha riunito il Consiglio dei Ministri”. Il Brasile è una repubblica presidenziale e non ha, come l’Italia, un Consiglio dei Ministri. In circa 20 città del Brasile migliaia di persone scendono in piazza, la RAI dice: “decine di milioni di brasiliani in strada”. Papa Francesco va in una favela di Rio e dice al proprietario di una casa che gli avrebbe chiesto “un cafesiño (piccolo caffè), non una cachaça”, pronto l’inviato della RAI commenta con notevole cultura: “cachaça, liquore fatto dal cocco”.

Si dirà che è stata la gaffe di un inviato poco informato, no, perché, appena iniziata la Coppa, la RAI apre subito la collezione di castronerie: “ La squadra italiana alloggerà a Mangaritiba, città infestata dalla febbre gialla”. Sono cento anni che questa malattia tropicale non esiste più, salvo in remote parti del paese. Ma, se l’inviato della RAI è debole in malattie tropicali, è sicuramente preparato in climatologia, infatti dice: “l’Italia giocherà a Recife, città dal clima infernale”. Recife è il quarto o quinto polo turistico del paese, proprio per il suo clima meraviglioso, a giugno e luglio è la stagione delle piogge, ma non ci sono “40 gradi”, come dice il nostro informatissimo inviato.

Ma la RAI non è la sola a dire castronerie, un contributo lo ha dato l’Espresso, in un suo servizio dal titolo: “Centinaia di migliaia di giovani prostitute”. Certamente la prostituzione minorile esiste, esiste anche a Roma, ma non siamo né in Tailandia né a Cuba. L’Espresso fa un esempio che fa crollare tutto il pezzo: “A Recife una minorenne su quattro è una giovane prostituta di 12 o 13 anni”. Facciamo un po’ di conti, Recife ha un milione e mezzo di abitanti, due con l’area metropolitana, siccome in genere in questi paesi il 30% sono giovani, un quarto di 600.000 fa 150.000, a Recife ci sarebbero centocinquantamila prostitute minorenni! Pazzesco se non irritante! Ma per fortuna arriva anche Repubblica che manda un pezzo forte, Concita de Gregorio. Si, quella che, quando è stata direttrice dell’Unità è stata sul punto di riuscire a fare quello che non sono riusciti i manganelli e i tribunali fascisti, distruggere l’Unità di Gramsci. Repubblica apre la serie con un titolo in prima pagina venerdì 13 giugno: “violenze sulla festa dei Mondiali”. Cinque, dico cinque manifestazioni in tutto il Brasile con non più di cinquecento persone; sì, ci sono stati scontri e tafferugli, ma niente di più! Ma nello stesso giorno un potente servizio della De Gregorio dice, parlando dei poliziotti: ”si fanno volentieri fotografare, monumentali e spesso neri, in divisa”. E come dovrebbero essere i poliziotti a San Paolo, biondi e con occhi azzurri? L’acuta osservatrice termina il suo pezzo dicendo: “compaiono dai balconi le prime bandiere del Brasile, finalmente”. È un mese che tutto il Brasile è coperto di bandiere di ogni tipo con il colori del paese!

Per onestà, bisogna dire che c’è chi compete con la De Gregorio con i titoli, è Emanuela Audiosio nel suo pezzo di venerdì 13 giugno: “e la Dilma, passo da maestra impettita che non teme i contestatori, cosa volete che sia un mondiale dove ti fischiano, dopo 22 giorni di tortura, (ma c’è chi non ci crede)”. Hanno detto di tutto alla Presidente del Brasile, di essere una assassina, di aver partecipato ad azioni sanguinarie durante la dittatura militare, ma non c’è mai stato nessuno, dico nessuno, che abbia messo in discussione la sua dolorosa esperienza. Ma, per quanti sforzi facciano i colleghi, è sempre la De Gregorio a mantenere l’Oscar delle scemenze e, per mantenerlo, che fa la nostra? Va ad intervistare una vecchia cariatide della sinistra della Teologia della Liberazione, Frei Betto, cacciato non solo dalla Chiesa, il quale fa la solita sparata sui consumi e attribuisce il progetto sociale di maggior successo non a Lula, che lo aveva ereditato dall’ex presidente Cardoso, ma alla Rousseff. Non è a caso che, dopo pochi mesi di lavoro alla “Bolsa Familia”, Lula lo cacciò, Frei Betto dice che si dimise. Per Frei Betto i 40 milioni di persone uscite dalla fame grazie a Bolsa Familia “hanno consumo di beni, non la crescita né le coscienze!”. Last but not least, la De Gregorio definisce la dittatura sanguinaria di Cuba: “Più del novecentesco rigore ideologico di Fidel è il maternalismo severo di Dilma”.

Per finire, in un articolo strappacuore la nostra Concita riferisce: “ho costruito lo stadio, ma non vedrò la gara, mi sono venduto il biglietto”, poi ” il lavoratore si chiama Ney,  è uno dei due milioni di operai brasiliani che hanno lavorato agli stadi”. Siccome gli stadi ristrutturati o costruiti ex novo sono dodici, significa che ad ognuno hanno lavorato più di 165.000 operai! Muraglia cinese o sfingi egiziane? Lunedì 30 giugno ultima castroneria della De Gregorio: “Garotinho, candidato governatore dello Stato di Rio, telepredicatore di setta evangelica, miliardario”. Antonio Garotinho è  un uomo politico di livello nazionale che è già stato due volte governatore dello Stato di Rio e nel 2002 arrivò terzo nelle elezioni presidenziali. È sì evangelico, ma chiamare gli evangelici setta è dispregiativo! Meglio smettere di scrivere.

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