Agenda Strategica europea, enunciazioni e concretezze
Per il lettore della stampa italiana è probabilmente complesso comprendere la portata reale del documento strategico proposto dal Presidente Van Rompuy al Consiglio di Ypres e adottato da tutti i Capi di Stato e di Governo. La stessa unanimità raggiunta su un documento complesso e ricco di spunti, fa capire quanti compromessi e ambiguità siano stati necessari (è la regola, che conosco per esperienza, per testi che devono riflettere un non facile consenso tra pareri spesso distanti). Perciò, il Governo e la stampa che lo appoggia possono presentarlo come un successo per l’Italia, mentre I fogli berlusconiani, senza troppo rispetto della verità parlano di una sconfitta e altri (vedi Padania) di “una calata di brache”. La verità è un’altra: non si è trattato di una vittoria finale e su tutta la linea, ma di un successo di principio, solo di principio, che però apre strade interessanti. Vediamo perché.
In questi ultimi anni si è da più parti lamentato, non senza un po’ di demagogia, che la linea dell’Europa fosse improntata ad un eccessivo rigore e si è accusata la cattiva signora Merkel di tutte le possibili nefandezze. Non sono mai stato d’accordo per una ragione evidente: se non si fosse evitato il disastro finanziario in vari paesi dell’Eurozona, tra cui l’Italia, si sarebbe avuto un collasso di tutto il sistema economico europeo e forse mondiale, peggiore ancora che nel 2008 (e questa volta senza neppure l’alibi di addossarne la responsabilità agli Stati Uniti di Bush). Lo si è evitato, grazie all’intervento massiccio dell’UE, della BCE e del FMI e alle politiche di rigore adottate in Italia, Spagna, Grecia. Ora il peggio è passato. I tassi d’interesse sono scesi dovunque (la BCE di Mario Draghi ha tirato la volata) e l’economia europea è tornata poco a poco a crescere, anche se non al ritmo che si vorrebbe. Come testimoniano le cifre dell’ISTAT, è tornata a salire anche in Italia la “fiducia delle imprese”, fattore non trascurabile ai fini della ripresa degli investimenti.
È dunque possibile spostare ora l’accento dal rigore alla crescita. Lo avevano chiesto a gran voce sia Hollande che Renzi, ed anche i socialdemocratici tedeschi. Van Rompuy ha raccolto questo invito e il Consiglio Europeo ha fatto proprie le sue indicazioni strategiche. Lo fa in forma di enunciazione di principi, non di regole operative, come è nella natura di un documento di questo tipo, essendo ovvio che l’applicazione dei principi enunciati spetterà alla nuova Commissione, ai futuri Consigli Europei e ai Paesi membri. Ma comunque lo fa. Il documento abbonda infatti in richiami all’esigenza di rilanciare le economie dei Paesi dell’Unione e indica i settori delle infrastrutture, dei trasporti, dell’energia, dell’innovazione, dell’educazione, come quelli centrali a questo fine. Indica inoltre, con molta chiarezza, che ciò richiede un adeguato apporto di risorse pubbliche e riconosce un nesso tra messa in opera di riforme strutturali, flessibilità di cui – ripete più volte – va fatto il giusto uso.
Va notato che su questa tesi si sono allineati tutti i membri dell’Unione, Germania compresa. Questo vuol dire che da ora in poi si allenteranno tutte le regole e si potrà spendere (e indebitarsi) a piacimento? Certamente no e se così fosse tutti gli sforzi e i sacrifici di questi anni sarebbero vani. Alcune richieste specifiche dell’Italia (escludere dal deficit annuale le somme dovute per pagamenti della PA e per investimenti in infrastrutture, e attenuare la norma del co-finanziamento nazionale delle opere finanziate dai fondi dell’UE) non hanno trovato spazio nell’Agenda Strategica né si parla di accordare all’Italia una proroga al 2016 del pareggio di bilancio (promesso da Berlusconi per il 2014 e poi prorogato di un anno). Tutto questo dovrà perciò essere oggetto di futuri, pazienti, se occorre duri, negoziati. Ma se queste richieste dovessero restare inoperanti, non si capirebbe in che cosa consisterebbe la invocata flessibilità.
Si noterà inoltre che non vi è traccia di quegli “eurobond” di cui si era parlato (un po’ a vanvera) in passato. Sarebbe grottesco pensare che, di colpo, per amore di Renzi, o per paura della Le Pen, Germania, Olanda, Finlandia (i Paesi “virtuosi”) abbiano abbassato le armi e accettato il ”free spending” (aspettiamoci anzi, in futuro, ripetute prese di posizioni contrarie da parte loro). Ma nel Consiglio di Ypres si è verificata senza dubbio (se le parole hanno un senso) un’apertura concettuale, che vincola in qualche modo Juncker e la Commissione futura. Sulla base di essa si potrà (e dovrà) operare nei prossimi mesi e anni, in modo da rendere concrete le enunciazioni di principio. Non sarà una partita facile. L’ Italia (affermatasi come co-protagonista in Europa) dovrà giocarsela con tenacia e serietà, mantenendo il necessario autocontrollo fiscale, ma senza timidezza. Avrà alleati preziosi nella Francia e in altri paesi membri, nonché nei socialdemocratici tedeschi al governo con la Merkel (basta vedere le dichiarazioni del Vice-Cancelliere e del Ministro degli Esteri, ambedue dell’SPD) e del Parlamento Europeo, dove i socialisti avranno un peso rilevante, specie ora che a presiederlo è stato eletto Martin Schulz (ed è da aspettarsi che i parlamentari della destra italiana non terranno a Strasburgo un linguaggio opposto a quello che tengono in patria).
Un altro punto positivo riguarda l’immigrazione nel Mediterraneo, che il documento Van Rompuy riconosce come problema comune e da gestire sulla base della solidarietà. Anche qui, non aspettiamoci risultati immediati e miracolosi, ma l’apertura concettuale c’è stata e l’intenzione attribuita a Juncker di nominare un apposito Commissario europeo, se confermata, va nella giusta direzione. Ma è ovviamente presto per dire se siamo di fronte a una vera correzione di rotta o continuerà a prevalere l’egoismo di certi partner nordici. Il Governo fará dunque bene a vigilare e a non consentire che l’atteggiamento di chiusura della Commissaria signora Maelstrom prevalga su quello che speriamo sia un nuovo orientamento politico. Se no, poniamo apertamente la questione della sua permanenza nel posto: anni fa, al tempo dei Governi Amato e Ciampi e delle grandi privatizzazioni del centro-sinistra, lo facemmo, assieme alla Francia, nei confronti del Commissario alla Concorrenza, che ci metteva i bastoni tra le ruote (un inglese, vedi caso) e ottenemmo da Jacques Delors la sua rimozione ad altro incarico.
Insomma, l’Italia ha portato a casa qualche buon risultato preliminare. Esagerarlo o negarlo è altrettanto sciocco, perché, se la partenza è buona , la gara è ancora tutta da correre. Renzi ha mostrato fin qui una certa sicurezza nel condurla, con maggiore credibilità di quanta ne avessero Prodi e Berlusconi e con meno complessi di Mario Monti ed Enrico Letta nei confronti di Bruxelles e di Berlino. Può dare un’impronta fattiva al Semestre italiano, a cominciare dal suo discorso inaugurale al Parlamento Europeo. Speriamo che questa occasione non vada perduta!
Un’ultima nota. Avevo scritto in precedenza che il Governo dovrebbe intanto scegliere un nuovo Commissario italiano a Bruxelles che possa esercitare il dovuto peso. Con la nomina di Nelli Feroci a titolo provvisorio per i prossimi quattro mesi, il Consiglio dei Ministri ha scelto di attendere l’entrata in funzione di Juncker con il quale andrà negoziato il “portafoglio” da attribuire al commissario italiano designato in via definitiva, e forse anche per vedere come va a finire la nomina della Mogherini. Ho scritto e ripeto che l’importanza del portafoglio “italiano” dipenderà molto dalle qualità del prescelto. I precedenti di Monti, della Bonino e anche di Tajani, scelti molto opportunamente dai Governi Berlusconi, lo dimostrano (ho letto che Renzi avrebbe detto che “i nomi italiani spetta all’Italia sceglierli”, ma è un vecchio errore: certo che spetta a noi fare le indicazioni appropriate, ma poi sono gli altri a decidere in funzione della loro valutazione sulle capacità dei designati).
Intanto, Ferdinando Nelli Feroci è del tutto in grado di coprire l’incarico per qualche mese con dignità ed esperienza. È stato per molti anni Rappresentante Permanente d’Italia presso l’UE e ne conosce tutti i meccanismi. Molto tempo fa (pare un secolo!) feci parte della Commissione di Avanzamento che lo promosse Consigliere d’Ambasciata, ma già prima di allora lo stimavo come uno dei migliori diplomatici della sua generazione. L’incarico è dunque per ora in buone mani. Poi naturalmente dovrà andarci un personaggio con spessore politico, perché è quello che esige il gioco europeo.
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