Corruzione, i costi per il Paese
Sessanta dei centoventi miliardi che ogni anno la corruzione sottrae all’economia comunitaria provengono dall’Italia. E’ il dato che emerge dal rapporto della Commissione Ue sulla lotta alla corruzione. L’Europa mette sotto accusa, ancora una volta, le macro storture del nostro Paese.
A preoccupare Bruxelles, sono innanzitutto “i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese”, “lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo”, nonché l’elevato numero di indagini per casi di corruzione. Nel testo si rileva che sono gli stessi gruppi politici ad attrarre le mafie.
Lo scorso 3 febbraio, tuttavia, la Commissione Europea ha fatto sapere, tramite un comunicato diffuso, che i 60 miliardi della supposta corruzione italiana, come calcolati dalla Corte dei Conti, non sono comparabili con i 120 miliardi stimati dalla Corte Europea come totale del costo della corruzione perché calcolati in maniera differente. In altre parole, non si può dire che la corruzione italiana sia la metà del totale europeo.
“Un contributo straordinario sul fronte delle alterazioni, delle distorsioni e delle degenerazioni che hanno inquinato e devastato molti luoghi della pratica democratica”. E’ quello che la Corte dei conti è chiamata a offrire secondo il suo presidente, Luigi Giampaolino, che è intervenuto al Quirinale in occasione della cerimonia del 150esimo anniversario dell’istituzione della Corte. Gli sprechi devastano la democrazia.
La nostra legislazione prevede regole minuziose per quanto riguarda gli appalti, ma spesso la necessità di fare in fretta ha dato mano libera a chi intendeva speculare. Mondiali di nuoto, G8, Expo e Mose sono solo gli ultimi dei grandi eventi a cui sono stati associati scandali di enorme portata, che hanno coinvolto politici di ogni estrazione. In comune hanno un dato: le deroghe al codice dei contratti pubblici, sacrificate sull’altare della straordinarietà dell’evento.
Questi scandali rilanciano l’allarme su una corruzione massiccia e sistematica. Le inchieste in corso riportano l’Italia indietro nel tempo e tutto ciò rischia di vanificare quanto sta cercando di fare il governo per modernizzare e trasformare il Paese, facendo prevalere la disillusione e la rassegnazione.
Una cosa è certa: l’eventuale sanzione da parte dell’elettorato costituisce, per i politici, una remora troppo lontana e aleatoria per poter ottenere un reale effetto di prevenzione. I clamorosi risultati di una ricerca statunitense dimostrano che il 36% dei politici italiani travolti dagli scandali si ripresenta. E uno su sei riconquista la poltrona. Un esempio? Umberto Bossi, Paolo Cirino Pomicino, Cesare Previti e Marcello Dell’Utri. Sarebbe molto più efficace una legge che preveda, in seguito a una condanna penale del politico corrotto, anche, automaticamente, una forte sanzione pecuniaria per la lista in cui egli è stato candidato, a meno che la lista stessa non abbia provveduto a denunciare l’operato del suo eletto.
Mentre quest’ultima ondata di arresti colpisce la già sfiduciata opinione pubblica italiana i risultati del rapporto 2013 dell’Institut de criminologie et de droit penal dell’Università di Losanna ci informano che le nostre carceri, mentre traboccano di detenuti per reati comuni,ospitano ben pochi “colletti bianchi”. Solo 156, lo 0,4% del totale, sono in carcere per reati economici, per corruzione e concussione. La media europea, invece, supera il 4%. Come non constatare, anche senza cadere nel giustizialismo, che è necessario un inasprimento delle pene?
Il 25 febbraio 1960, l’allora presidente del Senato, Cesare Merzagora, pronunciò a Palazzo Madama un durissimo discorso contro il Parlamento e il malaffare, attaccando i partiti che sostenevano la maggioranza: “Un’atmosfera di corruzione pesa – ed è inutile negarlo dopo gli esempi disgustosi e recentissimi – sulla vita politica italiana, inquinata dall’affarismo e dagli interventi finanziari illeciti, e ben noti, dei grandi gruppi di potenza parastatali e privati. La tacita e reciproca rassegnazione che si è creata fra i diversi settori politici turba la coscienza non soltanto mia, ma della maggioranza dei colleghi di ogni parte, i quali soffrono, in silenzio, come di fronte a una inevitabile e inarrestabile pestilenza. […] Ebbene, sono ormai indispensabili precise disposizioni legislative atte a rendere pubblica e obbligatoria la corretta attività amministrativa di tutte le formazioni politiche. […] Onorevoli colleghi: così non si può andare avanti e, se il mondo politico italiano non ritrova rapidamente il piacere dell’onestà, tristi prospettive, purtroppo, si aprono per il nostro avvenire”.
Sante parole. Eppure, da allora, sono passati cinquant’anni.
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