Cronache dai Palazzi
Per “cambiare verso all’Europa” è necessario modificare l’architettura istituzionale dell’Ue. Il premier italiano Renzi ha esordito a Strasburgo, presentando (sommariamente) il programma del semestre italiano e fissando subito dei paletti: non solo un’unione economica e monetaria “ma anche, e soprattutto, più unione politica, con una nuova governance”. Renzi ha annunciato un “semestre costituente”, sottolineando che “la vera sfida che ha di fronte a sé il nostro continente è ritrovare l’anima dell’Europa”. L’Ue non può essere “solo burocrazia” ma “deve tornare a essere una frontiera”.
Più che un programma per punti, Renzi ha illustrato a braccio la sua visione dell’Europa attingendo esempi dai grandi classici. Ha definito i giovani la “generazione Telemaco”, coloro che hanno “il dovere di meritare l’eredità” dei padri fondatori dell’Unione europea. Renzi, includendo se stesso nella generazione Telemaco, si fa così portatore di un pensiero nuovo che non dimentica il passato ma fa leva sul futuro: “Noi non vediamo il frutto dei nostri padri come un dono dato per sempre, ma una conquista da rinnovare ogni giorno”, afferma Renzi.
Sulle questione economiche Renzi ha assicurato che l’Italia si farà “sentire con forza, con la forza di un Paese che ha dato più di quanto ha ricevuto”. Il premier italiano ha puntualizzato: “Rispetta le regole chi si ricorda che abbiamo firmato insieme il Patto di stabilità e crescita”. La crescita rappresenta il nodo cruciale attorno al quale si è sviluppato, inoltre, il duro confronto con il tedesco Weber, capogruppo del Ppe e alfiere del rigore. Weber ha puntato il dito contro l’Italia denunciando le richieste del Belpaese, e Renzi ha prontamente controbattuto in maniera dura, affermando: “Noi non prendiamo lezioni da chi, proprio in quest’Aula, ha ottenuto non la flessibilità, ma lo sforamento del tetto” del Patto di stabilità.
In sostanza l’esordio di Renzi come presidente di turno del semestre Ue presenta un bilancio non del tutto in chiaro. Si possono rilevare delle zone d’ombra che hanno rischiato di oscurare anche l’accordo fra socialisti e popolari sulla scelta di Juncker alla guida della Commissione europea. È Stato Martin Schulz, paladino di Renzi, a ripristinare l’ordine acquietando gli animi e assicurando che l’accordo sul politico lussemburghese si può ritenere chiuso.
La polemica con il tedesco Weber ha oscurato inoltre il dibattito e lo stesso programma italiano che il premier Renzi ha deciso alla fine di non illustrare, affidando il suo discorso ad una scaletta scovata dalle telecamere e prontamente immortalata dai fotografi: si parte dall’immagine dell’Europa che si scatta un “selfie” (primo punto); il secondo punto prevede il passaggio di testimone “Grecia-Italia”; al terzo punto Renzi scrive: “Non voglio dare l’impressione di sottovalutare la crisi economica”. Infine una freccia collega le parole “Europa” con “libertà” e con “donne”, “politica estera”, “Israele”. Nell’epoca dei social network, gli appunti del primo ministro italiano riservano infine uno spazio (di discussione) anche ai tweet, tra i quali: “Israele ha il dovere di esistere”; “non vi chiedo di giudicare il passato ma di cominciare il futuro”; “la crescita non è richiesta dell’Italia ma esigenza dell’Europa”.
Tutto ruota attorno al concetto di “flessibilità” per le politiche nazionali di bilancio. L’obiettivo è avere più tempo o esulare gli investimenti produttivi per poter agevolare il rientro dal deficit. L’esecutivo renziano, in particolare, ha previsto che in virtù della flessibilità Ue l’Italia potrebbe incassare 10 miliardi di investimenti in più.
L’Olanda a sua volta attacca Francia e Italia, mentre il capo dei popolari tedeschi del Parlamento di Strasburgo, rivolgendosi a Renzi, ammonisce: “Siamo contrari alla flessibilità, i debiti distruggono il futuro”. Per Renzi non sono Francia e Italia a “chiedere regole nuove” però “senza flessibilità non c’è crescita”.
L’accordo stretto attorno alla candidatura di Jean-Claude Juncker sembrava aver ripristinato una certa quiete sui banchi dell’Ue ma l’entrata in scena del premier Renzi ha acceso (o risvegliato) dei nuovi fuochi, destinati a riscaldare l’arena dell’Unione nei prossimi mesi. Anche voci estranee all’area renziana hanno inoltre sollevato il loro appoggio al primo ministro italiano. “Pur essendo di un partito che si riconosce nel Ppe – ha affermato il sudtirolese Karl Zeller – devo dire che sul Fiscal compact Renzi ha ragione”. E anche il consigliere politico di Berlusconi, Giovanni Toti, neoparlamentare europeo, si fa portatore della disponibilità di Forza Italia a “dare il contributo per scardinare la cassaforte” del rigore dei tedeschi supportati, questi ultimi, dagli olandesi e dai finlandesi che comunque “diranno la loro” sul rispetto delle regole. “Non c’è da preoccuparsi – avverte il premier olandese Mark Rutte – le regole non sono cambiate, e sta alla Commissione europea vigilare sulla loro applicazione corretta”.
Il fronte rigorista legato ai Paesi del Nord torna quindi all’attacco e Rutte svela di aver frenato, con il supporto della Germania di Angela Merkel, il tentativo di Italia e Francia di allentare le regole di bilancio. Il ministro delle finanze olandese, Jeroen Dijsselbloem, colui che guida anche i ministri delle finanze della zona euro, ricorda comunque che la flessibilità rientra “nei criteri di valutazione”, tantoché in condizioni economiche molto negative, certe nazioni possono avere più tempo per far rientrare il proprio deficit. Un fuoco di paglia dunque, anche se la flessibilità rimane un nodo cruciale del confronto in Europa dove le regole economiche reclamano una svolta.
A Roma si prosegue infine sul percorso delle riforme e la riforma costituzionale Renzi-Boschi fa un passo in avanti rafforzando i poteri del Senato su bilancio, manovre economiche e finanza pubblica: una granitica maggioranza trasversale, guidata da Pd, FI e Lega approva infatti il quarto emendamento “pesante” proposto dai relatori Finocchiaro e Calderoli, d’intesa con il governo, suscitando ampi dubbi nel Ncd, in Scelta civica e nelle Autonomie. Gaetano Quagliariello chiede un incontro urgente con il ministro Boschi e minaccia di non votare un “bicameralismo rafforzato” approvato dai relatori d’accordo con il governo. In definitiva i nodi ancora da sciogliere sono i seguenti: l’elettività dei senatori; l’indennità degli stessi, approvata in commissione ma per ora accantonata e rimandata al voto dell’Aula; il numero dei deputati; le garanzie per l’elezione del Capo dello Stato, la proporzionalità dei senatori da inviare a Palazzo Madama.
L’obiettivo è di portare in Aula il testo della riforma per il 9 luglio, “e subito dopo si affronterà la legge elettorale”, hanno annunciato Anna Finocchiaro del Pd e Paolo Romani capogruppo dei forzisti. Renzi e i renziani puntavano all’approvazione della legge elettorale prima della chiusura estiva ma adesso l’obiettivo appare superato in quanto politicamente non perseguibile e non più necessario. Per far passare le riforme la cosiddetta pistola carica del voto non è più indispensabile. Il patto del Nazareno risulta blindato ed è ormai conclamata la subalternità dell’ex Cavaliere al premier Matteo Renzi lodato anche dal figlio Pier Silvio.
L’ultimo incontro Renzi-Berlusconi a Palazzo Chigi ha sigillato un accordo che si concentra sulla riforma del Senato (non elettivo) per allargarsi alla legge elettorale (senza preferenze) e alle elezioni per il Quirinale, animato dall’esigenza comune di procedere “rapidamente”. Alla base dell’intesa vi è anche una comune visione dell’Europa che, in maniera simile allo scontro con la Germania sulle misure economiche, travalica i confini di partito.
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