Gardoni (Coldiretti Giovani): sogno e passione in un progetto
Maria Letizia Gardoni, 25 anni, imprenditrice agricola di Osimo nelle Marche, è un simbolo generazionale: a diciannove anni ha detto ‘no’ ad uno stile di vita ‘cittadino’ coronando il sogno di lavorare in campagna. Poco dopo ha detto ancora ‘no’, stavolta ad una produzione generica di ortaggi per l’industria, ed ha fatto un altro passo avanti: produrre ortaggi sì, ma in maniera originale e innovativa; ed ha abbracciato il metodo macrobiotico. Sono passati solo cinque anni da quel nuovo inizio, ma per lei non è finita: appena laureata in Scienze e tecnologie agrarie all’Università Politecnica delle Marche con una tesi sullo spopolamento degli alveari, ha cominciato a sviluppare un progetto di agricoltura sociale, un centro agricolo di ippoterapia. Finché non ha ricevuto anche l’incarico di Delegato Nazionale di Coldiretti Giovani Impresa. Che lei riveste con responsabilità, portando ovunque il messaggio di una generazione che ha ben chiaro il ruolo dell’agricoltura come settore tradizionalmente primario ma oggi anche d’avanguardia, luogo d’innovazione produttiva ma anche di realizzazione del bene comune. Lei è Delegato Nazionale, ma non dimentica un attimo la sua terra ed il sogno che l’ha portata fin qui.
Maria Letizia, pensavamo di stare vivendo un ‘ricorso storico’, il ritorno alla terra dopo mezzo secolo di fuga verso le città. Una specie di reazione idilliaca alla civiltà metropolitana, un riflusso, una fuga dai problemi economici e sociali che nelle città impoverite dalla crisi mordono di più. Ma se a guidare il ripopolamento delle campagne sono i giovani, in questo movimento non c’è delusione o rancore: c’è speranza. Cosa ti ha mosso verso la campagna? Raccontaci il tuo sogno.
Io ho scelto di realizzare un sogno: un progetto maturato a partire dai miei 15-16 anni, da quando ho cominciato a pensare al mio futuro lavorativo. Sognavo di lavorare in spazi aperti, a contatto con la natura. Così, dopo gli studi classici mi sono iscritta alla Facoltà di Agraria per acquisire le competenze scientifiche di cui avevo bisogno. Poi, mentre frequentavo l’ultimo di università, ho iniziato a mettere giù i primi mattoni della mia attività: il passaggio decisivo è stata l’apertura di un mutuo ipotecario per il terreno e l’attrezzatura necessaria. E da lì è cominciata la mia avventura imprenditoriale, grazie all’aiuto della mia famiglia senza la quale non sarei riuscita a realizzare il mio progetto. Un aiuto umano fondamentale, se si considera che io sono imprenditrice agricola di prima generazione e quindi l’impegno personale e quotidiano dei miei genitori, che sono invece funzionari pubblici, è da apprezzare in modo particolare.
La mia scelta è stata dettata da un sogno e una passione forte che ho sempre avuto per questo mondo, per l’universo della natura, degli ecosistemi, della biodiversità che ho sempre avuto fin da piccola. La mia ‘scelta per passione’ accomuna i giovani che stanno tornando alla campagna: per ben il 56 per cento di loro si tratta di una scelta non di ripiego, ma di ricerca di soddisfazioni personali oltreché economiche. Quindi, se per i giovani si parla di ritorno alla campagna come scelta di ripiego, si svaluta il senso della loro iniziativa, perché non è assolutamente così. Questi giovani oltre alla dimensione naturale hanno già intuito che l’agroalimentare italiano è un settore che ‘da’ futuro’. E’ così, ce lo dicono i dati, il settore potrebbe essere trainante per l’economia italiana ma alcuni hanno ancora oggi difficoltà a prenderne atto. Forse anche per la lettura che danno della ‘crisi’, che dopo tanti anni si sta rivelando in realtà una transizione verso un nuovo assetto dell’economia. Un processo che ha risvolti negativi, come proprio la disoccupazione giovanile giunta in Italia al 47 per cento e nel Sud addirittura al 61, e nel quale è urgente offrire nuove opportunità ai giovani italiani. Oggi abbiamo già circa 60 mila giovani imprenditori agricoli con partita iva, ai quali dobbiamo aggiungere quelli che lavorano affiancati ad altri, coadiuvanti, anche con ruoli strategici. Questo fa capire che settore agroalimentare potrebbe essere una valida risposta a questa crisi. Ma serve crederci.
Sul sito di Coldiretti Giovani ci sono le ‘Storie’ di ragazzi che hanno scelto di lavorare in campagna. Anche grazie all’estetica del web, se ne ricava l’immagine di persone sorridenti e positive, in qualche modo felici. Ma c’è davvero bellezza nel vivere e lavorare in campagna? Voglio dire: non solo bei paesaggi, c’è davvero un’immagine bella di sé che un giovane può prefigurarsi nel quotidiano alzarsi prima dell’alba e faticare per ore nella neve o sotto il sole piuttosto che in abiti eleganti in un ufficio?
Sì, assolutamente. Le immagini di giovani sul sito sono immagini fedeli alla realtà. Per esperienza so che lavorare in campagna è duro, porta a fare i conti con l’asprezza delle stagioni, che è qualcosa che l’uomo non può modificare. C’è poi la mancanza delle ferie, in particolare per gli allevatori per i quali anche Natale o Ferragosto sono giorni in cui lavorare. Quindi chi lavora in campagna ha meno tempo libero di chi lavora in ufficio, sia perché sente vive la costanza d’impegno dell’imprenditore sia per la natura stessa del lavoro nei campi. Ma questo non ci toglie il sorriso, perché lavorare in campagna ‘immerge’ la persona in una dimensione bucolica, a contatto con natura e stagioni, che appaga completamente e ripaga degli sforzi che dobbiamo fare: anzi, lo stesso parlare di ‘sforzi’ non è esatto, perché amiamo il nostro lavoro e perché seguire i corsi naturali non pesa sulla nostra serenità. E’ vero, non riesco ad andare in vacanza: ma nemmeno ne sento il bisogno, perche quando sono in campagna ‘stacco la spina’, e questo è un vero toccasana, una sensazione in grado di compensare ogni difficoltà, qualcosa di appagante. Noi non soffriamo di angosce o di stress: anche se avere un’attività imprenditoriale di qualsiasi tipo, in Italia, non è semplice.
Ma cosa significa oggi lavorare in campagna? E’ vero che si può gestire una vigna o una stalla con il tablet?
E’ vero. Ci sono allevatori che gestiscono stalle di suini con il tablet, ci sono vigneti gestiti con i droni. Lavorare in campagna oggi significa recuperare le tradizioni ma coniugandole con le innovazioni tecnologiche dei nostri tempi. Le innovazioni che intervengono nel nostro lavoro su tre livelli: quello di processo, relativo alla gestione delle attività; quello dello story-telling, anche attraverso i social, per raccontare il prodotto del nostro lavoro che non è solo cibo ma anche storia della persona o della famiglia che lo produce, del territorio, delle tradizioni, dell’ intera comunità rurale. Poi c’è la terza utilità delle innovazioni, i siti di e-commerce: strumenti attraverso i quali portiamo i nostri prodotti in tutto il mondo, e ‘trasportiamo’ il senso del nostro lavoro dalle nostre singole realtà locali nella comunità internazionale.
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