Italia e Germania, destini in comune

Il discorso di Renzi al Parlamento Europeo, riprendendo le linee che il Premier era venuto esponendo sin dal suo discorso programmatico al Parlamento Italiano, ha confermato, da un lato, la sua  impostazione europeista e, dall’altro, la convinzione che l’Europa debba cambiare registro e portare al centro della sua attenzione la crescita economica e l’occupazione. Sarebbe riduttivo limitarne la portata al dualismo “rigore-sviluppo”. Non sono infatti mancati temi e richiami che vanno al di là di esso e investono le ragioni stesse dell’Europa e il suo futuro. Le chiavi stanno nel binomio “orgoglio e coraggio”, che il Premier ha usato come “cifra” del suo intervento. Riuscirà Renzi a far correre il pigro pachiderma europeo? Da solo, e in soli sei mesi, ne dubito. Se impostasse il suo semestre sul tentativo di un vero e proprio salto avanti istituzionale, o mettesse al fuoco più carne di quanto è possibile farne digerire ai nostri poco immaginativi partner nordici, farebbe un buco nell’acqua. Diversamente, invece, se si prefiggesse qualche progresso su punti specifici già sufficientemente maturati: tra questi, certamente, una maggiore coesione bancaria e fiscale, un impulso alle infrastrutture e alla ricerca e una politica estera più attenta al Mediterraneo e all’Africa e più solidale in materia di immigrazione.

Ma la “madre di tutte le battaglie” resta quella diretta a conquistare margini di flessibilità nella politica fiscale. E vincerla dipenderà dalla capacità del Premier di convincere i “mastini” europei che flessibilità non vuol dire finanza allegra e nuovi debiti senza controllo. L’Agenda Strategica adottata a Ypres contiene un’apertura utile, ma la partita è appena cominciata.

Va da sé che la chiave sta in Germania. Le dichiarazioni del capogruppo dei Popolari a Strasburgo, il tedesco Weber e quelle del Presidente della Bundesbank, confermano che le resistenze da quel lato sono forti e diffuse. Ma guardiamoci dall’attribuire eccessiva importanza a quelle manifestazioni di malumore. Come è stato ricordato dalla Cancelleria tedesca, la Bundesbank è un’istituzione indipendente e dice quello che le pare, ma la politica tedesca la decidono la Cancelliera e il suo Governo (nel quale è presente la componente socialdemocratica). Altrettanto vale per Weber, che rappresenta la CSU, cioè l’ala (bavarese) più a destra nell’alleanza CSU-CDU. Non rappresenta, perciò né l’intera componente democristiana del Governo di Berlino, né tutti i Popolari europei (nel gruppo ci sono decine di deputati italiani e spagnoli non d’accordo con le sue posizioni). Se si considera l’appoggio scontato del gruppo socialista e quello espresso dal capogruppo liberaldemocratico, Verhofstadt, il Governo italiano può contare a Strasburgo su un appoggio trasversale abbastanza vasto. Ed è questo un fattore chiave, dovendo essere chiaro a Juncker che la sua convalida da parte del PE sarebbe assai dubbia se chiudesse ad ogni ragionevole applicazione del criterio di flessibilità.

Su questo tema, Sergio Romano ha scritto un magistrale fondo sul Corriere di sabato. In esso ha ricordato una realtà che deve essere presente a tutti: noi non dobbiamo ignorare le difficoltà della Merkel, vigilata da due cani pastori, la Bundesbank e la Corte Suprema, e i tedeschi non devono ignorare le difficoltà di Renzi e devono dirsi che, se dopo i Governi Monti e Letta cadesse ora anche quello attuale, per l’Italia si aprirebbe una crisi che contagerebbe l’intera Europa. Le polemiche, le battute ad effetto (anche Renzi le maneggia con una certa efficacia) danno una effimera popolarità sul fronte interno e servono a sfogarsi, ma sono in realtà inutili e alla lunga dannose. La conclusione di Romano, che condivido interamente, è che i due Governi le lascino da parte e collaborino in buona fede e con reciproca comprensione per gli obiettivi comuni.

Speriamolo! Una cosa è comunque chiara: che per condurre con autorevolezza la sua azione dei prossimi mesi in Europa, anche nei confronti di Berlino, Renzi ha bisogno di ricevere un appoggio che vada al di là della sua maggioranza. Chi deve dimostrare serietà e concretezza nel cammino riformista non è solo il Governo, ma l’intera classe politica, l’intero Paese.

©Futuro Europa®

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