La minaccia islamica
Si è a lungo parlato di una minaccia islamica e dei mezzi per farvi fronte, spesso con velleitarie, patetiche professioni di ecumenismo e di fratellanza universale. Ora la minaccia si è fatta concreta, visibile e vicina a noi. Tutti presi dalle diatribe interne ed europee, non ci stiamo accorgendo che qualcosa di estremamente grave sta accadendo nel cuore del Medio Oriente, qualcosa che potrebbe incidere direttamente e rapidamente sul nostro benessere e sulla nostra sicurezza. In pochi mesi, un gruppo di jihadisti sunniti ha conquistato con la forza delle armi una parte del territorio dell’Irak (tra cui la zona petrolifera di Mossul) ed un pezzo di Siria e ha proclamato un califfato universale il cui capo reclama obbedienza da tutti i musulmani nel mondo e proclama di volersi impadronire di Roma.
Deliri? In parte sì, ma avremmo torto a ignorarli o sottovalutarli. L’Islam ha in Italia e nel resto d’Europa milioni di fedeli. Non tutti fanatici, s’intende, ma basta che lo sia l’1 per mille e già staremmo parlando di migliaia di persone potenzialmente in grado di attaccare o corrodere dal di dentro le nostre istituzioni e la nostra società, così insicura dei propri valori e così debolmente priva di anticorpi. A parte qualche fanatico delle reti sociali, pronto a esaltare chiunque sia nemico dell’Occidente, questo pericolo dovrebbero sentirlo tutti: dalla sinistra democratica e laica che certo non può accettare un nuovo oscurantismo religioso, alla destra nazionalista e razzista. Ad esso va fatto fronte in comune, superando almeno su questo punto i conflitti interni fratricidi. Altrimenti, rischieremmo di fare la fine di Bisanzio, ove si discettava sul sesso degli angeli mentre i turchi erano alle porte.
Come si è giunti a una situazione del genere? Senza andare troppo indietro nella storia di quella parte di mondo, l’ultimo grossolano errore lo hanno fatto gli Stati Uniti di George W. Bush quando – abbattuto Saddam Hussein – hanno smantellato l’esercito iracheno, distruggendo l’unica forza capace di tenere insieme il paese e spingendo migliaia di ufficiali e soldati, privati da un momento all’altro di dignità e di salario, nelle braccia della ribellione. È un errore che il vecchio Bush non aveva commesso, ma in cui il figlio e i suoi collaboratori, dervisci della più rancida destra americana, sono cascati a piedi giunti (rimando per questo all’eccellente libro di Bob Woodward: “Against all enemies”). E un pericoloso errore lo compie la monarchia saudita che, per le proprie ragioni confessionali, in odio alla modernità occidentale e per contenere l’Iran sciita, gioca da sempre con il fuoco finanziando sottobanco il peggiore estremismo sunnita, non escluso quello di Al-Qaeda, come ha sempre finanziato un settore dell’estremismo palestinese.
Ma fare un processo al passato serve poco. La situazione è a un punto in cui serve solo cercarvi un riparo, se non si vuole che, controllando la ricchezza petrolifera irachena, il delirante califfato possa minare dal di dentro tutti i regimi più o meno laici che restano nel mondo arabo, cancellare frontiere stabilite nel Medio Oriente e nel Mediterraneo e alimentare il peggiore terrorismo a casa nostra. Una ad una, posizioni che a fatica difendiamo, come in Afganistan, cadrebbero nelle mani del più oscuro fanatismo anti-occidentale. È possibile combattere questa minaccia? Sì, se uniscono tutte le forze che hanno interesse a farlo. Queste forze esistono e sono tuttora di gran lunga prevalenti: Stati Uniti, Turchia, Israele, ma anche Iran, Siria, India, Russia e Cina (queste ultime non possono vedere tranquillamente una rinnovata ondata di terrorismo islamico entro i loro confini). E l’Europa? Speriamo che non continui a balbettare, divisa e impotente, anche di fronte a un pericolo che la minaccia direttamente. Speriamo che Francia e Inghilterra reagiscano e la Germania non si blocchi. Speriamo che il nostro Governo non si ammanti dietro un comodo agnosticismo pacifista.
Mettere insieme quelle forze in un’azione coordinata ed efficace, superando diffidenze a conflitti, è difficile e richiede una inconsueta dose di realismo (e anche di spregiudicatezza) ma è oggi più che mai necessario. Gli Stati Uniti devono ritrovare la via di una collaborazione anche se limitata con l’Iran e con la Russia (di fronte al pericolo islamico, le vicende ucraine dovrebbero apparire a Putin secondarie) e associarvi chi, come la Turchia, dispone di un esercito importante nella Regione. Israele è bene che resti formalmente fuori, ma l’apporto della sua “intelligence” può essere prezioso. I russi hanno fatto un primo sforzo (sei aerei da combattimento) ma è ancora poco. Obama ha escluso l’invio di truppe americane sul terreno, limitandosi a inviare consiglieri militari (la lezione del Vietnam decisamente non insegna nulla) e qualche centinaio di marines a proteggere l’Ambasciata a Bagdad. Ma l’America dispone di una grande capacità di appoggio e attacco aereo dalle portaerei e dalle basi in Turchia. Certo, un deciso, ultimativo intervento sugli apprendisti stregoni sauditi è necessario, ma non basta. Non ci illudiamo. Il Papa può (e deve) invocare il dialogo ma, di fronte al demenziale fanatismo dei jihadisti il buonismo pacifista non basta: la sola risposta valida può essere militare. L’onere principale spetta, beninteso, all’esercito iracheno, ma poco potrebbe fare se non fosse appoggiato dall’aviazione americana e russa, dalle milizie iraniane e dai turchi. E se non ricevesse armi e addestramento da chi è in grado di fornirglieli. Scenari da fantapolitica? Forse, ma l’alternativa è alzare le braccia.
Un’ultima considerazione. Uno Stato islamico senza confini impiantato nel cuore del Medio Oriente porterebbe presto la sua minaccia, terroristica e militare, nel Mediterraneo, di fronte alle nostre coste. Spero che, in questa situazione si rifletta bene prima di ridurre le nostre capacità di difesa. Spero che gli eurofobi smettano di spingerci verso un pericoloso isolamento. E spero, soprattutto, che nessuno torni seriamente a sostenere l’abolizione della NATO, ora come in passato principale garanzia della nostra sicurezza.
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