Richter a Basilea anche con i suoi “contrappunti”
Gerhard Richter, classe 1932, l’artista vivente più quotato per gli oltre 764 milioni di dollari di fatturato negli ultimi 2 anni e mezzo, è ora visibile poco fuori Basilea (a Riehen), fino al 7 settembre.La Fondation Beyeler ospita “Gerhard Richter: Pictures/Series”, a cura dello star curator Hans Ulrich Obrist, che consacra il rapporto personale che lo lega da 27 anni all’artista tedesco.
Le ampie sale, progettate da Renzo Piano e illuminate dalla luce naturale, ospitano un centinaio di opere, tra ritratti, nature morte, paesaggi, immagini astratte, assieme a 2 sculture in vetro e 64 foto-dipinti. Sono presentati i periodi più iconici della sua carriera, a partire dal 1966, includendo pure pezzi recenti inediti, ma non certo in chiave antologica, come nel caso della personale del 2011 alla Tate Modern di Londra. La scansione non è cronologica, né propriamente tematica; l’allestimento segue per la prima volta i cicli, tra loro giustapposti, tra ritratti, nudi, paesaggi astratti, cromie geometriche.
Formati, temi, stili, periodi e tecniche differenti nella stessa sala presentano la natura poliedrica di Richter, mai stanco di esplorare e sperimentare, depositario dell’eredità artistica da lui espansa. Lo spazio diventa davvero importantissimo, in quanto la spazialità presenta il luogo d’analisi a intersezioni comunicanti, lì dove l’occhio dell’osservatore non può fisicamente sottrarsi. Questo vale anche per le trasparenze date dalle lastre di vetro, posizionate al centro della sala e inclinate a seconda della loro capacità di carico.
Dopo gli specchi posti all’ingresso, accolgono il visitatore “January”, “December” e “November”, tele di grandi dimensioni dal soggetto astratto dai toni grigio scuro, datate 1989. Il grigio, tipico di Richter, è il colore che rappresenta la tragedia, in una continua battaglia tra luce e oscurità. Dal bianco e nero in campo fotografico e dei giornali, viene instaurata una realtà artificiale e autoreferenziale, senza mai abbandonare il senso di illusione e di dubbio, siccome le immagini rimangono ideali. Di fronte, i ritratti intimi madre-figlio, basati su fotografie personali, non possono fare a meno di evocare l’iconografia sacra della Vergine con Bambino.
Seguono le 5 versioni dell’ “Annunciazione dopo Tiziano” (1973), riproduzioni dell’originale esposto nella Scuola Grande di San Rocco a Venezia. Il risultato non era equiparabile, così solo i 5 tentativi presentati assieme soddisfanno l’artista, che rimane estasiato alla visione dell’opera su cavalletto. Nella sala di fronte, “Otto Infermiere Tirocinanti” (1966) presenta 8 ritratti, sotto forma di foto-dipinti, che fanno riferimento all’omicidio seriale avvenuto a Chicago.
Il Pantone dell’opera “1024 Colori” (1973) viene ripreso nella digitalizzazione e stampa di “Strip”, del 2013, dove, con pattern cromatici lineari, il maestro si cimenta nell’arte digitale. Seguono le opere appartenenti al ciclo “4900 Colori” (2007), che occupano un’intera sala e ci interrogano sullo stato dell’arte quando non è creata dallo stesso artista, per quanto il nostro artista abbia al suo fianco solo 2 assistenti e un direttore di studio.
La sala principale vede la presenza dalla già menzionata scultura di vetro, posizionata tra 6 dipinti monumentali (“Cage”, 2006), che evocano dei paesaggi, e le 6 tele che compongono la serie “Rhombus” (1998), realizzate per una cappella progettata da Renzo Piano, dedicata a San Pio da Pietralcina a San Giovanni Rotondo. In “Rhombus” Richter non creò dei pezzi figurativi, come invece richiesto, ma fece in modo che la connessione delle linee verticali e orizzontali delle tele formasse, se combinate in un certo modo, il simbolo di una croce.
Sono inoltre presenti il ciclo Bach (1992) e i 15 quadri denominati “18 ottobre 1977”, in riferimento al suicidio dei membri della Rote Armee Fraktion (RAF) nella prigione di Stoccarda; a contatto con “Iceberg in Mist” (1982) e vari ritratti, “Betty” (1988), “Small Bather” e “Reader” (entrambi del 1994) ed “Ella” (2007), un foto-dipinto.
Nel 1964 realizzò i primi foto-dipinti (“Fotobilder”) e la sua prima esposizione. Da allora Richter ha accumulato il più gran numero di mostre a lui dedicate (1256), davanti a Bruce Nauman (1244) e Cindy Sherman (1006). Gerhard Richter impiega il “fuori fuoco” nella pittura, appropriandosi di qualità tipiche del medium fotografico, quali la sfocatura, il bianco-nero, la neutralità e la funzione documentaria dell’immagine.
All’inizio degli anni ’60, l’artista era in cerca di una via che gli consentisse di esplorare nuove possibilità espressive in pittura e di prendere le distanze dal Realismo socialista della DDR e dai linguaggi dell’Informale diffusesi nella Germania Ovest. Solo la fase conclusiva della realizzazione di ciascuno Fotobild è dedicata alla sfocatura dell’immagine. Dipinto il modello fotografico sulla tela, si interviene sul colore ancora umido con l’aiuto di un pennello asciutto, talora trascinando secondo traiettorie orizzontali e così producendo un’immagine, talvolta invece l’artista sfuma il colore creando un alone di indeterminatezza che dissolve i contorni degli oggetti e dei figure presenti nell’immagine.
La scansione delle varie serie è spezzata da quelli che Hans Ulrich Obrist chiama “contrappunti”, come nella musica, grande fonte d’ispirazione di Richter: piccoli quadri figurativi, proprio le opere che hanno fatto conoscere Richter al grande pubblico, si inseriscono nella partitura musicale, senza interrompere l’esecuzione. La buona riuscita dell’esposizione ora in corso alla Beyeler è molto probabilmente da ricercare nell’apertura a prospettive di lettura differenti e tutte possibili, risultato e risultante delle scelte relative all’allestimento, nato dal migliore dialogo tra il curatore e l’artista.
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