La virtù del silenzio
Nessun governo può fare miracoli, specie in una situazione complessa come quella italiana. Ma il Governo Letta sta facendo del suo meglio, non solo sul terreno primario dell’economia, ma su quello, a lungo andare altrettanto cruciale, dei diritti e della convivenza civile. Merito di Enrico Letta, certo, ma anche dei suoi principali collaboratori, in primo luogo il Vicepresidente del Consiglio Alfano e il Ministro dell’Economia Saccomanni. A fronte di ciò, continua invece l’indecente rissa tra i partiti della maggioranza, il cui effetto è di creare o aggravare un clima di sfiducia, di fastidio, di precarietà. che non può che nuocere alle prospettive di una ripresa che pur si annuncia possibile e non troppo lontana.
La decisione di dare vita a un governo di coalizione, pur forzata, non è stata facile, lo sappiamo, soprattutto per il PD, che ha dovuto acconciarsi a ritrovarsi sullo stesso fronte con il troppo a lungo detestato e denigrato Berlusconi. Però, una volta questa decisione presa, ci si doveva aspettare che le due forze principali della maggioranza mettessero da parte le risse quotidiane e trovassero la strada di una convivenza, se non idilliaca, almeno reciprocamente rispettosa. Così avviene dovunque una coalizione sia necessaria, come in Germania. Cosi non sta invece avvenendo da noi, Paese abituato al fanatismo partigiano e alle nefaste lotte civili. Mentre in Parlamento le due forze si ritrovano a votare insieme le cose necessarie, sul piano della schermaglia politica (o politicante) è un continuo, inverecondo, scambiarsi di accuse, minacce, colpi bassi. La gente comune si rende conto che íl Governo esiste e lavora e vorrebbe vederlo continuare indisturbato per il tempo necessario, ma vede ogni giorno, ogni ora, le sue prospettive oscurate da queste rissa e si chiede con angoscia quanto durerà la tregua attuale e quando si ricadrà nel girone infernale delle lotte partigiane.
Responsabili di questa situazione sono, a pari titolo, ambedue i partiti. Il PD è attraversato da tensioni interne che spingono questo o quel dirigente o esponente di corrente a esprimersi fuori di ogni ragionevolezza. Ciò è quasi inevitabile, ma la cosa è più grave quando a manifestarsi irresponsabilmente è lo stesso segretario del partito, a cui spetta esprimerne la linea e ufficiale e complessiva. E qui non si può non notare che, alle ripetute dichiarazioni di sostegno al Governo, fanno riscontro esternazioni che vanno in senso diametralmente opposto e obbligano a chiedersi quanto quella volontà costruttiva sia reale. Epifani opera in una situazione quanto mai difficile, mai dovrebbe comprendere che, quando si sta in un’alleanza con un’altra forza politica, la prima regola, il requisito basico, consiste nel rispetto di essa e delle persone che la rappresentano. La sentenza della Cassazione a carico di Berlusconi, giusta o sbagliata che sia – e le improvvide esternazioni del Presidente Esposito gettano non poche ombre su di essa – ha prodotto nel PDL e nel suo leader uno sconcerto, anche umano, che tutti, a parte le barbariche falangi grilline e selline, dovrebbero comprendere e rispettare. Non si chiede certo a Epifani e ai suoi di difendere o scusare il Cavaliere. SI chiede loro di non rigirare il coltello nella piaga; si chiede loro, semplicemente, di tacere.
A specchio, Berlusconi e il PDL, mentre dichiarano di sostenere lealmente il Governo, paiono far di tutto per complicargli l’esistenze e accorciarne i tempi. Che altro significano le battaglie per la riforma della giustizia e per l’IMU? Intendiamoci, si tratta di battaglie di per sé legittime. Che in Italia la Giustizia funzioni male è sotto gli occhi di tutti (e tanti ne sono stati vittime in carne propria). Ma porre il tema della sua riforma in senso chiaramente punitivo e di vendetta non può che condurre a un vicolo cieco al cui termine c’è solo lo sfascio. E significa anteporre ancora una volta, come negli anni di governo del Centrodestra, gli interessi di una persona a quelli del Paese.
Quanto all’IMU, a chi non piacerebbe abolirla? Parlarne come di un’esazione ingiusta è, però, palesemente demagogico. Non c’è Paese in Europa in cui un’imposta sulla prima casa non esista, cosa abbastanza logica se si pensa che chi possiede abitazione propria è esente dal pagamento di affitti ben piú pesanti di una tassa comunale. Occorre però distinguere tra chi possiede una casa modesta e ha redditi limitati e spesso al limite della sopravvivenza – gente per cui la casa d’abitazione rappresenta il frutto di una vita di lavoro e di sacrifici e spesso l’unico bene – e chi abita invece in stabili di lusso e possiede redditi consistenti. Perché non dovrebbe pagare chi possiede case di altissimo valore, poniamo, Piazza Navona o Piazza di Spagna a Roma, o via Senato a Milano? Non fare una distinzione, come ha invece proposto il Ministro Saccomanni, e fare della questione un tema di vita o di morte per la sopravvivenza di un Governo chiamato ad affrontare ben altri problemi – senza peraltro indicare le fonti di copertura per una consistente perdita per il bilancio dei comuni – può perciò essere solo il frutto di una colpevole demagogia elettoralistica, che poco o niente ha a che fare con l’interesse generale. Sul lato opposto, l’insistenza del PD a opporvisi, negando che un impegno a superare quella tassa ci sia stato nel programma formativo del Governo, è altrettanto colpevole. E colpevolissimo è che in un senso o nell’altro sproloquino singoli membri del Governo, compresi l’ineffabile Fassina e l’improvvido Franceschini, su una questione che spetta invece all’esecutivo nel suo insieme e, specialmente, alla scelta politica del suo Presidente.
Sono ostacoli grandi come macigni che i due partiti si ostinano a porre sul cammino di un Governo che pure dicono di voler appoggiare. Confidiamo nella pazienza e nell’abilità del Premier Letta e dei suoi Ministri per riuscire a scansarli. Per quanto tempo ancora? Non mi illuderei: per ragioni diverse e magari opposte, PDL e PD paiono guardare a elezioni in tempi non lontani. Ma almeno, fino a che non si arriverà a quel punto, credo proprio che gli italiani abbiano il diritto di chiedere loro di lasciar lavorare il manovratore, senza porne a rischio la sopravvivenza un giorno sì e l’altro pure.
In definitiva, agli uni e agli altri non si chiede poi gran cosa, se non riscoprire e praticare la sacrosanta virtù del silenzio.
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