Marò, ostaggi dell’immobilismo
“Dopo due anni e mezzo i Marò sono ancora bloccati in India senza neppure un capo d’accusa formale”. Paola Moschetti, la moglie di Massimiliano Latorre, non riesce più a tollerare la lontananza del marito. La protesta viaggia anche sui social network. Latorre, insieme a Salvatore Girone, è costretto a stare lontano dalla sua famiglia da due anni e mezzo. Sono dimenticati un po’ da tutti. Dal governo, certamente, troppo impegnato a discutere sull’assetto del nuovo Senato o a pensare alla nuova legge elettorale. I due fucilieri della Marina italiana non sono più in stato di fermo ma si trovano “distaccati” dal Ministero della Difesa indiano presso l’ambasciata di Nuova Delhi. Questo, però, non basta per spiegare lo stallo dell’Italia in questa vicenda.
Gli errori commessi dal governo italiano sono molti. Sin dal principio qualcosa è stato gestito male. Nel febbraio del 2012, appena avvenuto l’incidente in cui persero la vita due pescatori – scambiati per pirati – la nave Enrica Lexie fu fatta rientrare in acque indiane, nonostante si trovasse al largo delle coste di Kerala, in acque internazionali. Chi diede l’ordine di far sbarcare i due fucilieri? Non si capisce il motivo di tanta fretta. Latorre e Girone potevano restare al largo, in acque internazionali, in attesa che le varie magistrature decidessero sul da farsi. Se i due marò dovevano testimoniare sull’accaduto, avrebbero potuto farlo attraverso una semplice rogatoria internazionale. Consegnare i due militari italiani al governo indiano, senza aspettare che si chiarissero i fatti, è stata una prima grande mancanza.
Il ministro degli Esteri del governo Monti, Giulio Terzi, arrivò a dimettersi polemizzando con l’allora premier. Un pasticcio dietro l’altro. Per non rovinare i rapporti diplomatici con l’India, l’esecutivo tecnico dei professori incappò in una sfilza incredibile di errori diplomatici. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in questi due anni e mezzo sono tornati in Italia per le vacanze di Natale nel 2012. Il mezzo per trattenerli legalmente in Italia c’era. Bastava che la Procura della Repubblica di Roma aprisse un procedimento penale a carico dei due militari per il presunto omicidio dei due pescatori. La Procura di Roma è competente per tutte le indagini relative a crimini commessi da cittadini italiani all’estero. Considerata l’obbligatorietà dell’azione penale nel nostro Paese, l’avvio del procedimento avrebbe privato i due marò del passaporto e non sarebbero più tornati in India, in balìa di una magistratura a dir poco inaffidabile.
I mesi passano e dei marò si parla sempre meno. Ce li stiamo quasi dimenticando. Periodicamente la faccenda torna d’attualità perché usata come scontro politico, manco fosse uno slogan elettorale. Si alternano i governi, da Monti a Enrico Letta, per arrivare a Matteo Renzi, ma la sostanza non cambia. Girano anche i ministri degli Esteri, ma dalla Farnesina nessuno è in grado di fare qualcosa di concreto, nonostante i tentativi del Ministero della Difesa con l’ex Ministro Mario Mauro e l’attuale Sottosegretario Domenico Rossi. Così pian piano i due militari italiani, in India, da prigionieri in attesa di giudizio, stanno diventando dei veri e propri ostaggi. Vediamo quanto tempo serve ancora per liberarli, portandoli via da uno Stato, quello indiano, che in trenta mesi non è riuscito neanche a programmare un processo.
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