Di Maggio (PI): intervento in Aula sulla Riforma del Senato
[NdR – Riportiamo il resoconto stenografico dell’intervento del Sen. Tito Di Maggio, Popolari per l’Italia, nel corso della seconda giornata di dibattito in Aula sul testo di Riforma del Senato così come licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali]
Signora Presidente, visto quello che è accaduto nella Commissione affari costituzionali, e giusto perché non vorrei che ci fosse una deriva del Regolamento del Senato, vorrei chiederle – e in questo senso chiedo anche l’aiuto del presidente Calderoli – se le risulta che solitamente, quando ci sono le riunioni di Gruppo, l’Aula viene sospesa. È una prassi abituale? (Applausi dal Gruppo M5S).
Noto questa dicotomia. Si discute nella riunione di Gruppo del Partito Democratico dell’importante questione della riforma costituzionale, che sarebbe molto più importante seguire in Aula. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Senatore Di Maggio, lei faccia pure il suo intervento. Ciascuno è libero, come vede, di fare altre scelte. Prego, senatore Di Maggio.
DI MAGGIO (PI). Signora Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina ho sperato che ci fosse una sorta di resipiscenza, per così dire. Ho visto il titolo del «Corrierone» – il «Corriere della Sera» e mi son detto: «Toh, la riforma costituzionale assurge agli onori della prima pagina del Corriere!». «Non annacquate le regole»: è il titolo. Mi sono drammaticamente sbagliato: si riferisce al monito del presidente Draghi, mentre della più importante legge del Paese si continua a discutere nelle pagine interne.
Mi è impossibile trattare l’argomento all’ordine del giorno senza inserirlo nel contesto nel quale esso si è sviluppato, un contesto surreale che non appartiene a nessuna democrazia occidentale. Avete mai sentito, infatti, di riforme costituzionali che partono o prendono le mosse dal Governo? A proposito, il Governo: non me ne voglia il sottosegretario Scalfarotto, presente in Aula, ma c’è un Ministro per le riforme costituzionali che ha firmato questo testo, la cui assenza oggi denota il livello di interesse o forse il «già tutto fatto».
Perché da noi accade e perché accade in questo modo? Siccome ho ascoltato il dibattito parlamentare ho potuto verificare che c’è sostanzialmente una convergenza generale da parte di tutti i Gruppi e di tutti i senatori che sono intervenuti ed il pieno accordo di tutti sulla volontà di riformare il bicameralismo perfetto, mi sono chiesto perché l’attuale Presidente del Consiglio non vuole assolutamente arrivare ad una soluzione condivisa, che potrebbe avere addirittura i due terzi dei voti in Parlamento ed evitare anche il referendum.
Ho trovato la risposta, prontamente suggeritami da persona a me molto cara, che mi ha invitato a valutare l’anamnesi di un fenomeno. «Una persona che vive nel culto del proprio io e tutto il mondo, di conseguenza, deve ruotare attorno a lui – naturalmente e preferibilmente in ombra – instaura moltissimi rapporti con gli altri, ma sono tutti brevi e superficiali. Usa le persone per confermare la sua seduttività, poi se ne libera quando hanno esaurito la loro funzione. Crede che gli sia permesso tutto. Non pone limiti, né divieti all’affermazione personale. Segue il ritmo delle sue necessità; non ha rispetto per il punto di vista degli altri. È egocentrico; fa promesse che non mantiene quasi mai; alimenta speranze che disillude regolarmente. Quando percepisce di essere in difficoltà, reagisce nei confronti dell’altro svalutandolo o colpevolizzandolo, perché lo percepisce come invalidante o intenzionato ad ostacolare il raggiungimento dei suoi obiettivi».
Avete riconosciuto qualcuno? (Applausi dal Gruppo M5S). A me sembra la foto inequivocabile dell’agire del nostro Presidente del Consiglio e questo modo di agire va sotto un acronimo, DNP, vale a dire disturbo narcisistico della personalità. (Applausi dal Gruppo M5S).
Ora, mi chiedo e vi chiedo: è questo un modo sano per affrontare le riforme dell’architrave costituzionale del nostro Paese? Questa poi è la spiegazione attraverso la quale possiamo giustificare «gufi», «frenatori», «avidi di indennità», offese e volgarità di questo spessore. Se invece l’onorevole ministro Boschi o il nostro Presidente del Consiglio, che hanno attraversato quest’Aula con grande superficialità e con poco rispetto, avessero avuto modo di dimostrare rispetto, non per il ciarpame dei senatori quali noi ormai siamo, ma almeno per la storia di quest’Aula, magari, volgendo lo sguardo verso l’alto, avrebbero potuto scorgere una frase che recita: «Per suffragio di popolo a presidio di pubbliche libertà». Signora Ministro, signor Presidente del Consiglio, in queste parole contenute in quella targa sta il riassunto intero della nostra Costituzione e mi piacerebbe che esse fossero di monito anche per il Presidente del Senato, che anche io ho contribuito ad eleggere e ricordo il giorno in cui ci ha ricordato le quattro virtù rappresentate sul Velario dell’Aula: giustizia, diritto, fortezza e concordia. Mi piacerebbe vedere quel suo ruolo di garanzia e non invece questo modello Ponzio Pilato, che non convoca gli organi di controllo per non disturbare il manovratore e che ci concede otto ore in più per presentare gli emendamenti in luogo delle quarantottore, che è il ritardo con il quale il testo è stato consegnato. Il Presidente del Senato qui è il padrone di casa e il padrone di casa dovrebbe reagire se qualcuno quella casa vuole distruggerla, perché se così non è, si avvalora quella terribile tesi che la cosa pubblica non è di nessuno e quindi poco ci importa difenderla. A me poco importa se altri che sono stati qui prima di noi hanno demeritato; io credo invece che questa sia una delle più importanti case degli italiani, (Applausi dal Gruppo M5S e del senatore Buemi)proverò, insieme agli amici che ne avranno voglia e finché ne avrò la possibilità, a difenderla. Proverò a difenderla dalle bugie e dalle menzogne innanzitutto, due delle quali vanno sotto il nome di stabilità e governabilità, questi due fantocci che si agitano sempre più spesso e che vengono contrabbandati come altari verso i quali bisogna fare qualche sacrificio. Liquidiamoli subito allora: Temistocle Martines, insigne costituzionalista sui cui libri si è formata la migliore intelligenza costituzionale del nostro Paese, pochi mesi prima di morire, in un dibattito a Bologna in cui si parlava di riforme costituzionali, come si fa da molto tempo nel nostro Paese (eppure non c’era il silenzio complice che si avverte in questi giorni d’inizio estate), diceva: «Difendo questa Costituzione perché essa è quanto mai valida e attuale. Non è vero che la Costituzione non ha funzionato e non è vero che bisogna modificarla perché non consente stabilità di Governo. Questa stabilità in Italia non c’è e non c’è stata perché il sistema dei partiti non l’ha consentita e allora è il sistema dei partiti che semmai bisogna modificare, non già la Costituzione». (Applausi dal Gruppo M5S). Il problema della governabilità, poi, è un fatto che riguarda le maggioranze: non può essere che per assicurare la governabilità si tolgano spazi di libertà alle opposizioni, perché la Costituzione serve soprattutto a garantire le libertà di tutti.
Ma veniamo al lavoro che diligentemente la Commissione ha svolto e che ringrazio, soprattutto per lo sforzo fatto nel tentativo di rendere credibile un progetto che è del tutto incredibile. Se venissero approvati sia il modello prefigurato dal disegno di legge Renzi-Boschi, sia il disegno di legge elettorale denominato Italicum, avremmo come risultato – in conseguenza della diversa composizione delle due Camere, della notevole diversità di attribuzioni e della diversa fonte di legittimazione (popolare l’una, indiretta l’altra) – un «monocameralismo», dominato dal PD e o dall’esistente coalizione di partiti. Ma quello che più ci interessa è che sarebbe privo di contropoteri. Grazie all’Italicum basterebbero, infatti, all’attuale coalizione di maggioranza 26 senatori oltre ai 340 deputati derivanti dall’Italicum, perché, dopo il terzo scrutinio – ora gli scrutini in questione li abbiamo portati a nove, ma poco conta – essa possa disporre della maggioranza relativa sufficiente (366 parlamentari) per eleggere anche il Presidente della Repubblica. Date le maggioranze politiche attualmente esistenti nei Consigli regionali, ancor più semplice dovrebbe essere, per la maggioranza di Governo se non anche per il solo PD, riuscire ad eleggere tutti e cinque i giudici costituzionali, posto che il futuro articolo 135 non prevede, diversamente dall’attuale, che essi siano eletti dal Parlamento in seduta comune, di talché basterebbe la maggioranza relativa per la loro elezione sia alla Camera (tre) che al Senato (due).
La Camera sarebbe, inoltre, titolare esclusiva del rapporto di fiducia con il Governo e titolare pressoché esclusiva della funzione legislativa, mentre il Senato parteciperebbe, oltre all’approvazione delle leggi costituzionali – come già previsto nel testo originario – all’approvazione delle leggi di attuazione in materia di referendum popolare, all’approvazione delle sole leggi di autorizzazione dei trattati relativi alla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, delle leggi che danno attuazione alla legislazione statale in materia elettorale e di eleggibilità.
Per il resto, le funzioni legislative che il nuovo articolo 70 attribuisce al Senato sono più illusorie che effettive, perché gli emendamenti approvati dal Senato alle leggi approvate dalla Camera, oltre ad essere sottoposti a condizioni temporali, sono comunque superabili dal voto contrario della Camera.
Una siffatta concentrazione di poteri in capo ad un solo organo – e vorrei dire in capo ad una sola persona – è impensabile in una democrazia liberale: una forma di Stato che, come tale, presuppone la doverosa esistenza di contro poteri – come ebbe ad affermare lo stesso presidente Napolitano nel discorso per il 60° anniversario della Costituzione, prendendo le distanze dal semipresidenzialismo francese, una delle cui più rilevanti caratteristiche è il cosiddetto voto bloccato, assai criticato oltralpe – è stato ciò nondimeno previsto dal disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi.
La concentrazione di potere in favore della Camera dei deputati e della coalizione di maggioranza costituisce una scelta consapevole del disegno di legge Renzi-Boschi. Il che è comprovato dal reiterato rifiuto del Presidente del Consiglio di prendere in considerazione la proposta intesa a ridurre di 350 il numero complessivo dei parlamentari – inizialmente pubblicizzata dal nostro Presidente del Consiglio – ma distribuendo equamente tale riduzione tra Camera e Senato, confermando però l’elettività di quest’ultimo. Renzi si è invece opposto non solo alla riduzione dei deputati, ma – come sembra da recenti interventi – anche all’elezione di secondo grado dei senatori, risultante dall’emendamento Finocchiaro-Calderoli.
La soluzione portata avanti dal Presidente del Consiglio è, infatti, non quella di modificare il bicameralismo paritario – tesi generalmente condivisa – ma quella esplicitamente sottolineata nei giorni scorsi: annullare il ruolo del Senato come contro-potere: obiettivo al cui fine convergono la limitata effettiva partecipazione alla funzione legislativa – appena un po’ migliorata in Commissione – e la carente legittimazione popolare. Di legittimazione popolare del Senato non può, infatti, parlarsi alla luce non solo della proposta iniziale, che prevedeva i senatori-consiglieri regionali, ma nemmeno della cosiddetta elezione di secondo grado. Quindi, allo stato attuale, è ragionevole riconoscere ai futuri senatori la sola insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni e non anche l’immunità personale.
A mio modo di vedere, il bicameralismo, ancorché non paritario, merita invece di essere conservato: in primo luogo, perché le presunte lungaggini del procedimento legislativo sono smentite da statistiche condotte in tempo non sospetto dagli uffici del Senato della Repubblica con riferimento alla XVI legislatura.
In secondo luogo perché dell’utilità, se non addirittura dalla necessità della cosiddetta navetta, lo stesso Renzi potrebbe essere chiamato a testimoniare, avendone più volte usufruito. Sta di fatto – come sottolineato da Gustavo Zagrebelsky – che se la navetta si rende talvolta necessaria per riparare a veri propri errori, altre volte, come di recente avvenuto al Governo Renzi, si approvava un dato disegno di legge allo scopo di alleggerire la tensione politica, nel presupposto condiviso che poi si sarebbe ridiscusso il tutto. Ebbene, ci si deve chiedere: in mancanza della seconda lettura, che cosa accadrebbe in caso di errore o di ripensamento? Si ripresenterà un nuovo disegno di legge per inserire le modifiche? E questa alternativa è conveniente dal punto di vista dell’efficienza?
In terzo luogo, il Senato non dovrebbe essere ridotto a Camera delle autonomie territoriali, il che è oltremodo smentito dal fatto che parteciperebbe all’approvazione di tutte le eventuali modifiche della Carta costituzionale e non solo a quelle relative al Titolo V, Parte II. Sviluppando una tesi prospettava da Massimo Luciani, si potrebbe infatti prospettare che la funzione legislativa debba essere esercitata collettivamente dalle due Camere, quantomeno con riferimento a dati tipi di legge: oltre alle leggi costituzionali e alle legge di revisione costituzionale, potrebbero perciò rientrare nella legislazione bicamerale le leggi di amnistia e di indulto, le leggi previste dall’articolo 81, comma 6, della Costituzione, le leggi di autorizzazione di tutti i trattati internazionali e non solo quelli relativi all’Unione europea, le delibere dello stato di guerra o situazioni ad esso equiparabili (abbiano o meno tali atti la forma di legge), le leggi di delegazione nelle materie rientranti nella competenza del Senato e, infine, le leggi di conversione dei decreti-legge, questo potendo essere un vero deterrente alla tentazione dell’abuso del decreto-legge cui lo stesso Governo Renzi, nonostante i buoni propositi di cui alla modifica dell’articolo 77, ha reiteratamente ceduto.
Queste valutazioni così metodicamente circostanziate, non sono mie, ma del professor Alessandro Pace, illustre costituzionalista, e sono ampiamente condivise dalla maggior parte dei costituzionalisti italiani: tutte voci perfettamente silenziate in questo periodo.
A queste considerazioni, che condivido totalmente, non mi pare superfluo aggiungere una considerazione che a mio avviso doveva stare a monte di tutti i ragionamenti. Credo sia noto a tutti che la Corte costituzionale, con una sentenza, ha dichiarato incostituzionale il Porcellum rispetto alle liste bloccate e al premio di maggioranza. Da questa sentenza ne discende che questo Parlamento gode di un legittimità formale, ma non sostanziale. Lo ha ricordato ieri in modo molto esemplare il collega Corsini.
Mi chiedo allora e vi chiedo: vi sembra normale che una maggioranza costruita su norme incostituzionali riformi o voglia riformare la legge fondamentale del nostro Stato? Con buona pace dei buoni conforti ricevuti dalla presidente Finocchiaro nella rilettura degli atti della Costituente, a me questa sembra una tale stortura che troverebbe difficoltà a essere accettata anche in quei democraticissimi Paesi della Corea. (Applausi dal Gruppo M5S).
Da ultimo, signora Presidente, ritorno – come bisognerebbe fare in quest’Aula – alle bugie e alle menzogne che sono il filo conduttore di questo lavoro. Ce ne dà un spaccato di impareggiabile elevatezza retorica la Presidente della Commissione affari costituzionali, quando nella sua relazione arriva a dire…
PRESIDENTE. La invito a concludere.
DI MAGGIO (PI). Cito testualmente: «Coglievamo la necessità di rispondere alla domanda di strumenti di democrazia diretta, che sale così significativamente dal Paese, e anche alla positiva domanda di controllo e verifica dell’agire dei poteri, a cominciare da quello del Governo.» (Applausi dal Gruppo M5S).
FINOCCHIARO, relatrice. Esatto.
DI MAGGIO (PI). Bugie e menzogne.
PRESIDENTE. Concluda, senatore Di Maggio. Concluda davvero e la prego anche di essere almeno rispettoso delle persone in Aula. (Commenti del senatore Candiani). Senatore Candiani stia calmo, per favore.
DI MAGGIO (PI). Sto concludendo, Presidente: è esattamente contro questa arrogante sfacciataggine che dovremo resistere, affinché, come ebbe a dire Salvador Allende «ciò possa costituire una lezione nella storia ignominiosa di coloro che hanno la forza ma non la ragione». (Applausi dal Gruppo M5S).
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