Immigrazione e imprenditoria, Rapporto 2014
Mentre l’economia emerge faticosamente dal grande freddo della crisi, il mondo dell’immigrazione straniera aggiunge nuova linfa e nuove idee al variegato panorama imprenditoriale italiano. E’ quanto emerge dai dati del Centro Studi e Ricerche Idos, che il 10 luglio ha presentato le sue pubblicazioni annuali sull’immigrazione straniera in Italia, con uno studio dedicato al suo inserimento nel mondo imprenditoriale. Con il supporto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Idos si è avvalso della collaborazione di Unioncamere, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, Camera di Commercio Industria e Artigianato di Roma e MoneyGram.
Il Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2014 analizza l’imprenditorialità immigrata a tre diversi livelli (europeo, nazionale e territoriale) e propone al riguardo i dati aggiornati all’inizio del 2014, con molteplici approfondimenti che consentono di individuare lo specifico apporto degli immigrati al panorama imprenditoriale italiano e le possibili prospettive.
La stessa Commissione Europea, nel Piano d’Azione Imprenditorialità 2020, ha attribuito agli imprenditori migranti un ruolo importante per il rilancio dell’Unione e del suo sistema economico-produttivo, riconoscendo e sottolineando, per la prima volta, l’importanza del loro contributo all’imprenditorialità.
Per quanto riguarda l’Italia, a fine del 2013 le imprese condotte da cittadini immigrati erano 497.080, con un’incidenza dell’8,2% sul totale. La notizia rilevante è che, a partire dal 2011 fino a questa data, le imprese a guida immigrata registrate negli elenchi camerali sono aumentate del +9,5% (e del 4,1% nell’ultimo anno), a fronte di una lieve diminuzione di quelle facenti capo ai nati in Italia (-1,6%). Un tale andamento induce a confidare nella possibilità (oltre che nell’opportunità) di un loro ulteriore supporto al sistema economico-produttivo italiano (e dei Paesi di origine).
Le imprese sono in buona parte ditte individuali (l’80,6% del totale), anche se si registra una crescita delle società di capitali e delle cooperative. Sul piano territoriale, il panorama regionale è frastagliato, a partire dalla stessa distribuzione delle imprese. E’ al Nord, infatti, che si concentra il numero maggiore di imprese straniere, con un 30,4 per cento nel Nord Ovest e 21,3 nel Nord Est, al Centro Italia oltre un quarto con il 26, 3 per cento di presenza, mentre al Sud oltre un quinto con il 22 per cento.
In Italia, tra gli autoctoni prima e tra gli immigrati poi, si è affermata una imprenditorialità molecolare – con imprese di ridotte (e ridottissime) dimensioni – che, seppure per alcuni aspetti appare più dinamica e coinvolgente, fatica maggiormente nel mercato globalizzato, come indicano le evidenti difficoltà delle imprese artigiane, in diminuzione dal 2009. Un dato importante è quello sull’imprenditoria femminile, che ha registrato un aumento significativo delle attività. Nell’ultimo anno, infatti, sono diventate 117.703 le aziende condotte da donne straniere, incidendo per quasi un quarto sul totale di quelle a guida immigrata (23,7%).
I diversi gruppi etnici si distribuiscono diversamente nei vari settori: quasi la metà dei titolari di imprese individuali nati all’estero e attivi nella manifattura è cinese (48,9%), quasi un terzo di quelli attivi nel commercio è marocchino (29,2%), oltre un quarto di quelli attivi nell’edilizia è romeno (28,0%) e un altro quinto albanese (20,8%). Quasi un quarto di coloro che scelgono le attività di alloggio e ristorazione è cinese (24,0%) e uno su nove è egiziano (11,0%). Tra gli immigrati titolari di ditte di noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese, invece, oltre un quarto è di origine bangladese (18,6%) o egiziana (7,5%). Per quanto riguarda l’accesso al capitale economico e sociale, le imprese gestite da stranieri, come quelle gestite da italiani, seguono percorsi legati alla rete di conoscenze e legami nei quali sono inserite, mostrando una forte tendenza all’autofinanziamento.
Se pure le imprese straniere condividono le medesime difficoltà ambientali delle imprese gestite da italiani, va anche rilevato che se ne distinguono fortemente per alcuni tratti, in particolare per la crescita del loro numero, a fronte di un trend “italiano” in direzione opposta che si trascina ormai da anni. Per interpretare il fenomeno della crescita e della piccola taglia delle imprese gestite da stranieri, deve essere considerato un aspetto importante, ossia le caratteristiche strutturali del tessuto economico italiano che vedono una netta predominanza delle piccole e medie imprese (PMI), cosa che può aver condizionato, a prescindere da altri fattori, lo sviluppo di questo tipo di aziende.
La crescita dell’imprenditoria straniera, in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando, può anche essere il frutto di discriminazioni nel mondo del lavoro subordinato in termini sia di assunzione sia di carriera, che fanno del mettersi in proprio l’ultima spiaggia per i cittadini stranieri. Il rischio è che questo fenomeno comporti un’ulteriore ghettizzazione delle comunità di immigrati. Dai dati a disposizione, non sembra tuttavia che la crescita delle imprese di cittadini stranieri sia legata a discriminazioni nel mondo del lavoro dipendente, ma piuttosto a un desiderio di ascesa e integrazione sociale che non sembra possibile ottenere in altro modo.
Ma come valutano gli italiani dal punto di vista economico la presenza degli immigrati? Secondo un recente sondaggio, solo un quarto del campione intervistato ritiene che essi portino benefici all’economia nazionale. Eppure, se consideriamo l’Irpef versata dai contribuenti stranieri, circa il 7% del totale, non è da trascurare che questi ultimi versano allo stato italiano più di 6 miliardi e 500 milioni all’anno, stando ai dati del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa.
Se vogliamo quindi che gli imprenditori stranieri continuino a prosperare nel nostro paese e a svolgere la funzione di traino che hanno avuto finora, sarà necessario far fronte non solo alle problematiche che hanno in comune con le imprese di italiani, ma anche alla mancanza di integrazione sociale che gli stranieri in generale subiscono, che alla lunga rischia di scoraggiare o compromettere anche quella economica.
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