Cronache dai Palazzi
La riforma del Senato affoga nel calderone degli oltre 7 mila emendamenti e, molto probabilmente, non si comincerà a votare nemmeno lunedì 21 luglio. Il premier Matteo Renzi punta a portare a casa la riforma prima della pausa estiva ma nelle stanze dei Palazzi circola la voce che il tutto slitterà a settembre. Così niente nuovo Senato (e niente nuova legge elettorale) prima delle vacanze; le riforme sono arenate in Parlamento e il rischio di sabbie mobili è molto alto.
Eppure l’esito appare segnato. Il patto del Nazareno vigila su tutto. “Va dato atto a Berlusconi – dichiara il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi all’Avvenire – che sulle riforme è stato un alleato responsabile” (l’ex Cavaliere ora assolto in secondo grado per il caso Ruby in cui l’ex presidente del Consiglio era imputato per concussione e prostituzione minorile).
Gli alleati nel Nuovo centrodestra, a loro volta, insistono che occorre approvare le riforme prima dell’estate (legge elettorale a parte), e da Palazzo Chigi il sottosegretario Delrio puntualizza che sulle riforme “è in ritardo il Paese, non il governo”. Renzi, imperterrito, afferma: “Ragionevolmente in 15 giorni si chiude sulle riforme costituzionali al Senato. Poi ci sarà la legge elettorale”. Il premier auspica un rapido via libera per la riforma costituzionale al Senato entro luglio e l’incardinamento della legge elettorale a Palazzo Madama già i primi d’agosto. Poche ferie anche perché ci sono una serie di decreti in scadenza, a cominciare dal decreto legge Cultura e turismo Franceschini e quello sulla competitività.
Le opposizioni, 5 Stelle in testa, temono la famigerata “ghigliottina” eventualmente favorita dalla valanga di emendamenti (sarebbero 7.850) che incombono sulla riforma costituzionale. Per l’Aula di Palazzo Madama sono previste sedute fino alle 22 da lunedì (21 luglio) a giovedì sera, e l’esame del decreto sulla competitività dovrebbe slittare a venerdì.
Si teme che la discussione possa essere ridotta all’osso e i dubbi provengono anche da sostenitori della riforma, come il co-relatore leghista Roberto Calderoli e il senatore di Forza Italia, Donato Bruno, che hanno chiesto al presidente del Senato, Pietro Grasso, più tempo per vagliare al meglio tutti gli emendamenti.
Dopo settimane di silenzio, la seconda carica dello Stato si dichiara “preoccupato per il clima che si respira in Senato” e auspica un dibattito proficuo alimentato da una “normale dialettica tra maggioranza e opposizione” scongiurando, nel contempo, “uno sterile ostruzionismo, che sarebbe dannoso per l’immagine del Senato e del Paese”.
In sostanza le opposizioni (Sel, Lega, M5S, frondisti Pd e FI) devono evitare di ostacolare la riforma del bicameralismo con un inutile “filibustering” e Palazzo Chigi dovrebbe togliere il piede dall’acceleratore concedendo qualche ritocco, favorendo così il ritiro di molti emendamenti affinché la riforma arrivi in porto. Come dichiarano i suoi più stretti collaboratori, il presidente Grasso sta “cercando di mantenere un sottile equilibrio tra la fretta del governo di arrivare al voto finale e l’esigenza di un approfondito confronto parlamentare, con in più quattro decreti in scadenza”. Nel suo ruolo di “arbitro e garante di tutti i senatori”, Grasso vorrebbe evitare che nei prossimi giorni l’Aula del Senato si trasformi in una pericolosa pentola a pressione, destinata ad esplodere a causa dei cattivi umori bipartisan che mettono in pericolo una riforma tanto attesa. L’obiettivo è “superare quella che viene definita ‘la palude’, dando a tutti la possibilità di parlare”, sottolinea Grasso.
L’elettività dei senatori, il taglio dei deputati e l’indennità ai parlamentari rappresentano le mine più pericolose che si nascondono tra le migliaia di emendamenti, senza escludere i bilanci dello Stato. Palazzo Chigi, a sua volta, sembra disposto a concedere qualche ritocchino ma i cardini della riforma rimangono fermi. Sì, quindi, alla riduzione delle firme per il referendum abrogativo, all’introduzione del referendum propositivo e all’allargamento della platea che elegge il capo dello Stato, compresi i deputati Ue. Piccole concessioni, infine, sul piano delle competenze tra territori e Unione europea. I leghisti sono convinti che “così com’è la riforma non passerà mai”. “Temo che il premier abbia sottovalutato il rapporto con il Parlamento e anche con la sua maggioranza”, dichiara il leghista Volpi. Anche i Popolari per l’Italia criticano l’impianto della Riforma del Senato in discussione in Aula in questi giorni (sul nostro giornale abbiamo riportato gli interventi integrali dei Senatori Mario Mauro e Tito Di Maggio).
Un vasto fronte trasversale, unito a proposito di immunità, elettività dei senatori e bilancio dello Stato, è invece pronto a consolidarsi. I dissidenti non mancano nemmeno all’interno del Partito democratico. “Bisogna togliere l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione nella logica del Fiscal compact”, afferma Massimo Mucchetti, che aggiunge: “le migliaia di emendamenti dimostrano che nessuno ha paura di andare alle elezioni”.
La strada è quindi tutta in salita, soprattutto per Matteo Renzi che aspira a varcare il traguardo del 2018 (fine della legislatura), e le trappole si nascondono soprattutto tra i rovi del suo partito dove un piccolo ma nutrito gruppo di dissidenti (Chiti, Mucchetti, Tocci, Mineo e compagni) sembra aver disseminato di mine l’Aula.
Le mine si nascondono anche tra le istituzioni europee che mal sopportano “Mr 40 per cento”, come i “tecnocrati della Ue” hanno ribattezzato il presidente del Consiglio italiano.
In pratica il “metodo Renzi”, velocità e terapia d’urto, non attecchisce in Europa ma all’indomani del vertice Ue l’ex sindaco di Firenze ci tiene a puntualizzare il suo ragionamento e le sue posizioni: “Molti in Europa non conoscono ancora il mio metodo di lavoro e non ci sono abituati. Ma non è che io faccio una cosa a Roma e un’altra a Bruxelles. Io non cambio. Come non cambio idea su Federica Mogherini”. Renzi sottolinea che “l’Italia è in campo per l’Alto rappresentante” e “l’Unione deve dotarsi presto di una squadra competitiva in cui siano presenti freschezza e competenza”.
Renzi vorrebbe, in pratica, esportare un po’ della sua rottamazione anche a Bruxelles ma è il primo ad essere consapevole delle difficoltà che la partita comporta. Presentarsi al prossimo vertice Ue del 30 agosto con la riforma del Senato già approvata a Palazzo Madama potrebbe essere un asso nella manica da giocare al momento opportuno, ricordando ai “tecnocrati della Ue”, come li definisce il premier Renzi, che l’Italia esige “rispetto”.
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