Eurozona, in cerca di equilibrio

Quando si parla di crisi economica europea e/o mondiale si ha, nell’immaginario comune, l’idea che questa abbia colpito e continui a manifestare i suoi perversi effetti a macchia d’olio, colpendo chi più, chi meno, ma comunque affondando la lama in ogni contesto geografico. Altro pensiero che viene dato per certo è che l’Europa sia un continente oramai vecchio e stanco e che tutto il futuro stia nei rampanti membri del Bric. Le cose non stanno esattamente così, la tanto vituperata Eurozona, vanta un attivo nella bilancia delle partite correnti di 200 miliari di euro, tanto per intenderci superiore a quello dell’osannata Cina.

Il problema ha origine negli anni del boom dell’euro, quando capitali provenienti dal nord europa spingevano i consumi, e quindi il Pil, dei paesi a sud verso l’alto. Fino al 2007-2008 il debito privato si è gonfiato a dismisura, drogato da questo afflusso di capitali. Scoppiata la bolla immobiliare con la crisi dei sub-prime, il torrente di euro che entrava nei paesi mediterranei si è bruscamente interrotto, le stesse hanno deciso di rientrare ed il meccanismo si è inceppato. Per il rinnovo delle emissioni in scadenza le banche, non potendo più contare sugli euro in arrivo da nord, hanno dovuto ricorrere alla BCE trasformando il debito privato in pubblico.

Il boom delle spese per importazioni negli anni passati ha portato paesi come Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda ad accumulare un debito esterno superiore anche al 90%. Meglio è andata all’Italia, i cui abitanti hanno una naturale ritrosia all’indebitamento, il che  ha consentito di ridurre la percentuale di debito estero al 30%. E’ qui che si è prodotta una Eurozona a macchia di leopardo, dove abbiamo paesi con surplus commerciali come Germania ed Olanda, e quelli della fascia mediterranea con deficit esagerati. La crisi che ha colpito i paesi del sud ha provocato una contrazione dei consumi che ha corretto in parte lo squilibrio delle partite correnti, ma la massa di debito accumulato può essere assalita con una manovra di bilancio esclusivamente mirata sui paesi debitori? Non trovando più sbocchi nel mercato europeo, il risparmio tedesco si è riversato all’estero portando il saldo verso l’eurozona dal 70 al 25% e spostandosi quindi verso l’esterno.

L’eurozona è iper-competitiva, vanta un surplus commerciale altissimo come visto, ma il 70% dell’Unione non risente di questi benefici. Perfino la Cina nel periodo 2007-2011 ha ridotto la percentuale di avanzo dal 10 al 3%, riportandosi quindi a canoni più consoni, concentrandosi maggiormente sugli investimenti piuttosto che sulle esportazioni. Le politiche europee stanno andando in direzione di sanare le asimmetrie create? La competizione tra territori regionali si riflette tragicamente su disoccupazione e costo del lavoro aggravando le disfunzioni esistenti anziché andare a sanarle. Questo provoca diseguaglianze e disfunzioni che creano un ambiente dove trova fertile terreno di crescita il malessere sociale e l’euroscetticismo.

Nello scenario odierno dove l’inflazione tedesca si aggira attorno al 1%, ed il resto dell’Eurozona è ai limiti della deflazione, ben lontana dal target auspicato dalla BCE del 2%, la linea di galleggiamento sarebbe raggiunta tra 10-13 anni, ovviamente inaccettabile. L’unica strada è consentire un’inflazione tedesca attorno al 3% aumentando nel contempo i salari per stimolare i consumi interni, anche se il pericolo, ben più che reale, è che tali consumi si indirizzino ulteriormente verso l’esterno e non vadano ad attingere ai prodotti dei paesi del sud europeo. E’ infine doveroso ricordare che se è vero che il Trattato norma un tetto massimo del 3% nel rapporto deficit/pil, lo stesso stabilisce un tetto del 6% come surplus commerciale ammesso, quota che la Germania ha superato senza problemi. Lo scorso novembre la Commissione europea ha finalmente, e molto tardivamente, deciso di mettere sotto analisi l’avanzo tedesco, in quanto eccessivo rispetto ai parametri macroeconomici.

Con la Presidenza del semestre a guida italiana è forse ipotizzabile che questo si traduca in una procedura a carico della stessa Germania? Il silenzio assoluto in materia da parte del Presidente Renzi è significativo. Strenuamente teso alla ricerca della sponda della cancelliera Angela Merkel per un’interpretazione, peraltro già prevista nel dettato normativo, più aderente ai parametri strutturale e tendenziale del limite di spesa, pensare che possa spingere in tal senso è perlomeno irrealistico se non fantasioso.

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