Lucio Fontana Retrospective

Parigi – Dopo il 1987, anno della sua ultima apparizione in territorio francese, il maestro Lucio Fontana torna con “Lucio Fontana. Retrospective”, fino al 24 agosto, presso il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris. Come rivela il titolo, a Parigi una grande retrospettiva dell’Artista, classe 1899. Più di 200 sculture, dipinti, ceramiche e installazioni, dagli anni ’20 alla morte dell’artista, nel 1968.

L’allestimento segue l’ordine imposto dai vari cicli, disposti cronologicamente: sculture primitive e astratte, disegni, ceramiche policrome, lavori spazialisti, tele forate, opere di Arte Informale, installazioni, Tagli, Nature, Fine di Dio, Olii, Venezie, Metalli, Teatrini, ecc. L’esposizione è stata realizzata in stretta collaborazione con la Fondazione Lucio Fontana, da cui del resto proviene la maggior parte dei pezzi in mostra.

Opere-simbolo, affermatissime nei mercati esteri, affiancate da pezzi presentati in Francia per la prima volta, tra cui numerose sculture e ceramiche degli anni ’30 ad Albissola, in Liguria, testimoniano la varietà del suo lavoro, nella continua ricerca. Forse Fontana era più di ogni cosa uno scultore, demiurgo di realtà, sulle tracce del padre. Già nel 1924 aveva scelto la scultura, come ricerca, mettendosi dunque in proprio.

La mostra salta il periodo scultoreo relativo alla figura umana, per aprirsi con le terrecotte primitive e astratte, assieme alle ceramiche policrome (1935-1939). Queste sculture per lo stile sono vicine all’ambiente dell’astrattismo lombardo, e al gruppo parigino “Abstraction-Création”.Disegni, selezionati tra circa 5.500, risalenti al periodo 1928-1968, mostrano chiaramente differenti possibilità di sperimentazioni. Con “Teresita”, ritratto del 1940 dell’amata moglie, si svelano gli aspetti delle sculture create a tuttotondo in mosaico colorato, altrove in frammenti di vetro.

Segue la serie di innumerevoli “Concetti Spaziali”, che siano al variare della tecnica “Inchiostri”, “Gessi”, “Olii”, “Nature”, “Pietre”, “Tagli”, “Metalli”, “Teatrini”, “Quanta”, “Barocchi”, “Buchi”, “Fine di Dio”, “Venezie”. Nel 1946, anno del “Manifesto Blanco”, viene utilizzato per la prima volta in un gruppo di disegni dell’Artista il termine “Concetto Spaziale”. A Milano, in contatto con giovani artisti, nasce in dicembre il primo “Manifesto dello Spazialismo”. Nel 1948, la seconda stesura del Manifesto (con “Proposta per Un Regolamento”, 1950) presenta il bisogno di “uscire il quadro dalla sua cornice e la scultura dalla sua campana di vetro” e di produrre nuove forme d’arte utilizzando i mezzi innovativi della tecnica.

Una dimensione altra si intravede al di là di squarci e forature, sempre operati con precisione e misura studiate, lì dove è stata posta un’ulteriore tela tesa, un po’ con il gusto e la sorpresa di un doppio fondo. Il colore uniforme è interrotto dalle irregolarità della materia, fino a raggiungere alle volte la condizione amorfa. In questa delicata tensione costante, le ampie sale luminose del Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris sono abitate da quelle opere che disegnano costellazioni spaziali e rimangono astratte anche quando si avvicinano al figurativo; questo il lavoro indefesso di colui che non abbandonò mai il suo giovane amore per l’arte ceramica, richiamando ancora l’attenzione della critica e costituendo esempio per gli artisti a venire.

©Futuro Europa®

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