La morte del cinema di genere

Un cinema di genere che non c’è più. Almeno in Italia, perché negli altri paesi (USA, Francia, Germania, Spagna) le varie cinematografie tengono ben strette le tradizioni culturali. Dite a un regista spagnolo di rinunciare al mélo (li fa persino Almodovar!), o a un francese di non fare avventurosi, noir, cappa e spada, a un americano di non girare cinema bellico, western, fantastico. Noi ci siamo giocati persino il melodramma di Matarazzo e Visconti (Catene, Rocco e i suoi fratelli), per non parlare del neorealismo rosa (ucciso dal correre del tempo) e conviviamo con quel che resta della commedia all’italiana (ridotta a brandelli).

Il cinema di genere non esiste più. O meglio, si è trasferito in televisione, ultima frontiera – fiction del genere, che replica se stessa al cinema con i famigerati television-movie di Brizzi, Genovese, Russo e compagnia cantante. La fine del cinema di genere è diretta conseguenza della scomparsa dei produttori indipendenti, dei magnati che investivano in cinema e di tanti scellerati avventurieri. In cambio è rimasto il produttore unico nazionale: la televisione, sia RAI che MEDIASET. Ogni tanto qualche Film Commission fa da supporto economico, ma il vero produttore resta mamma TV. Adesso si produce soltanto per la televisione, lo scopo è farsi acquistare il film da una rete generalista o tematica; servono confezioni curate (nemmeno più di tanto), soprattutto innocue, per tutti, non sconcertanti, né sanguinolente, adatte a passaggi televisivi senza tagli, a ogni ora del giorno. Sono rimasto allibito nel vedere su SKY La stanza delle farfalle di Gionata Zarantonello, a notte fonda, certo, ma senza tagli. Le eccezioni provengono da registi indipendenti che lavorano in digitale, autori di pellicole persino sequestrate (Morituris del bravo Picchio), in ogni caso boicottate, sforbiciate, di solito destinate all’oblio. Tulpa di Zampaglione è una di queste, ma anche ShadowePaura 3 D dei Manetti Bros. Film dignitosi, un tempo da sala cinematografica nel fine settimana, adesso si spartiscono le briciole del niente. Resta Dario Argento, ma su di lui meglio stendere un pietoso velo. Meglio ricordarlo ai tempi di Fulci. Meglio pensare che avrebbe avuto la forza e il potere di costruire una factory. Non l’ha fatto. Ed è la sua colpa più grande.

Non è stato sempre così. In Italia avevamo un fiorente cinema di genere. Basti pensare alle varie sfaccettature della commedia, ideate per far sorridere mostrando le gambe delle attrici, in costume da bagno (la commedia balneare di Luciano Emmer) come in abito greco – romano (il peplum di Campogalliani, Freda…), in un’Italia che chiedeva erotismo e liberazione sessuale. Non solo. Pasolini girava il Decameron e registi minori s’inventavano il decamerotico, estremizzando le scene di erotismo e i contenuti salaci del modello colto. Tinto Brass girava Salon Kitty, la Cavani Il portiere di notte, e subito veniva fuori il nazi-erotico (da alcuni chiamato erroneamente nazi-porno), che portava alle estreme conseguenze la tematica lesbica, sadica, violenta di un campo di concentramento nazista. Per non parlare del prison-movie, detto più spesso women in prison, alto o basso che fosse, da Rondi a Mattei, costruito su trame abbastanza simili con protagoniste donne tra le sbarre. Erotismo lesbico e sadismo alla base delle storie. Generi e sottogeneri, quindi, come la commedia sexy, che deriva dal decamerotico (in salsa moderna), ma si specializza in erotico – campagnolo (La nipote di Nello Rosasati) peccati in famiglia, tonaca-movie (monache nel peccato), sexy scolastico, infermieristico, sexy ospedaliero, sexy militare, malizie perverse (storie di lolite desunte da Nabokov passando per Samperi)… Non dimentichiamo le tante commedie erotiche di ambientazione esotica, trame anche serie e introspettive alla base dell’esotico – erotico, ma anche erotici – patinati a imitazione de La chiave di Tinto Brass (fenomeno anni Ottanta, portato avanti da D’Amato e Gaburro). Prima c’era stato il musicarello, basato su una canzone o su un cantante di successo, che portava al cinema schiere di fan e tante ragazzine innamorate del divo di turno. E che dire dell’intero ciclo degli Emanuelle movies, con una emme sola, inventato da Massaccesi con l’attrice feticcio Laura Gemser? Imitazione pura, ma con un suo perché. Citiamo il filone esorcistico, sottogenere del cinema horror, nato sull’onda del successo de L’esorcista, con pellicole di buon livello come L’anticristo e L’ossessae persinouna parodia efficace come L’esorciccio di Ciccio Ingrassia. Siamo nel campo della commedia – horror: altro sottogenere! Non dimentichiamo le commedie che prendono il nome da un attore: Buzzanca-movie, Pozzetto-movie, Celentano- movie, persino Dorell- movie. Marco Giusti ha inserito nel suo Stracult anche termini come Guida-movie per il cinema sexy della bionda attrice meranese. Mi sento di condividere, mentre non esiste un Fenech-movie, visto che sono troppo diverse le tematiche da pellicola a pellicola. Non va scordato il cinema comico di Franco & Ciccio, vero e proprio sottogenere parodistico, pronto a replicare ogni successo cinematografico. Il melodramma incontrava la sceneggiata napoletana nei Merola-movie, ma anche il musicarello nei Nino D’Angelo-movie. Tutto finito. Tutto dimenticato.

Vediamo i generi veri e propri che hanno fatto la fortuna del cinema italiano, i generi classici che adesso Tarantino omaggia: horror (Deodato, Bava, Freda, Fulci…), poliziottesco (Massi, Lenzi), noir (Di Leo), western (Leone, Carnimeo…), bellico (Castellari), avventuroso, cappa e spada, con i sottogeneri degli Zorro-movie e a un certo punto pure dei Vietnam-movie girati nelle Filippine (Mattei, Margheriti).

Bruno Mattei è il regista simbolo del cinema di genere, perché l’ha fatto fino alla fine, sfruttando le varie tipologie fino all’esaurimento, lasciando il suo pubblico mentre era ancora alle prese con uno zombi-movie girato alle Filippine insieme al fido Antonio Tentori.

Ricordiamo sottogeneri tutti nostri come il lacrima-movie, commistione di melodramma e di pellicole stile Love Story, racconti strappalacrime di bambini che muoiono tra atroci sofferenze e di famiglie distrutte, persino partendo da una canzone (Piange il telefono) o da geniali intuizioni (Il venditore di palloncini, Bianchi cavalli d’agosto, L’ultima neve di primavera,L’ultimo sapore dell’aria). Raimondo Del Balzo è il mentore del sottogenere, ma non mancano incursioni di registi insoliti come Martino e Deodato. Film che riscuotono un grande successo per un breve periodo e che vengono esportati all’estero, soprattutto in Giappone, dove si vendono i biglietti insieme ai fazzoletti. Che dire invece del cannibal-movie, inventato da Martino, Deodato e Lenzi? Il primo esempio horror – avventuroso che anticipa il cannibal-movie è Il paese del sesso selvaggio di Lenzi. Genere tutto italiano, imitato ovunque, soprattutto nelle Filippine e nei paesi asiatici. Genere feroce, reportage terrificante dalle zone più disparate del globo. Genere che deriva dal mondo-movie di jacopettiana memoria (Mondo cane) e anche dai tanto vituperati mondo sexy di notte. Ci dimentichiamo di qualcosa. Restando all’horror non possiamo fare a meno di citare il gotico (Freda, Bava…), d’ispirazione nordeuropea, tra castelli cadenti, spettri, streghe e oscure apparizioni; lo splatter (Bava junior con Demoni 1 e 2), il gore (Fulci docet con L’aldilà, Non si sevizia un paperino, Lo squartatore di New York), ma anche lo stupro e vendetta (Non violentate Jennifer, L’ultima casa a sinistra, La casa sperduta nel parco), che il giovane Picchio cita a non finire in Morituris. Dimentico il postatomico e tutto il cinema fantascientifico, caro a Luigi Cozzi e Alfonso Brescia, ma che in Italia non è mai stato facile realizzare per carenza di fondi. E il barzelletta-movie? Altro genere italiano al cento per cento, per dirla con Abatantuono e il suo terrunciello milanese, che pure lui ha costituito un sottogenere. Il cinema di Pierino, ma anche il più alto modello di Fantozzi sono tipologie cinematografiche tutte italiane che non possiamo limitarci a definire farsa. E infine l’ultima frontiera del genere: il porno, il cinema hard che nasce con la trama (Joe D’Amato e i film caraibici), per finire nello squallore del tutto sesso senza uno straccio di sceneggiatura.

La fine del cinema di genere è anche la fine delle salette di terza categoria, i cinemini di paese stile Nuovo Cinema Paradiso. La morte dei cinema che passavano western, peplum, horror, commedie sexy e verso la fine degli anni Settanta (e i primi Ottanta) persino il porno, per trasformarsi negli anni Novanta e Duemila in centri commerciali, parcheggi o profumerie Non ci resta che la televisione. E accanto allo squallore del piccolo schermo, la passione di molti giovani intraprendenti: Picchio, Simone, Fratter, Albanesi, Zarantonello, Zampaglione, Bianchini, Nero, Tagliavini, Piana, Bessoni.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”] 

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