Cronache dai Palazzi
Sulle riforme è muro contro muro ma il premier Renzi è sicuro di evitare “la dittatura della minoranza”, ossia “il gruppo di persone che dice ‘no’ da sempre”. “Piaccia o non piaccia le riforme le faremo”, dichiara Matteo Renzi.
Bagarre, cortei di protesta in cammino verso il Quirinale, dibattito acceso in Aula, ma tutto ciò non sembra intimorire la squadra di governo e al Senato scatta la “tagliola”, o la “ghigliottina”, a proposito di riforme costituzionali. L’ultima parola sulle riforme sarà dei cittadini”, scrive in un tweet il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, lanciando un eventuale referendum e raccogliendo quindi la proposta dell’alleato di governo Gaetano Quagliariello (Ncd): “referendum confermativo in ogni caso”, ossia anche se la riforma costituzionale passasse con la maggioranza dei due terzi. L’esame di tutte le “correzioni” apportare dalle opposizioni (ufficiali e “dissidenti” di Pd e Forza Italia) verrà stoppata comunque l’8 agosto, quando andrà in scena il voto finale.
Mario Mauro, ex ministro della Difesa, Popolari per l’Italia, lancia la proposta (seguita da M5S, Lega e “malpancisti” vari) di “lasciare l’Aula” del Senato dopo l’annuncio della “tagliola”, per “evitare che la situazione degeneri”. In molti abbandonano così l’Aula di Palazzo Madama mentre leghisti, pentastellati e vendoliani, dopo una riunione comune, salgono al Colle dove li accoglie il segretario generale Donato Marra, data l’indisposizione del Capo dello Stato. Beppe Grillo sostiene la rivolta via Facebook: “Bisogna essere orgogliosi dei nostri ragazzi. Ora sono davanti al Quirinale per difendere la Costituzione”, scrive l’ex comico.
Una situazione a dir poco paradossale che per certi versi non ha precedenti nella storia della nostra Repubblica, anche se non si tratta del primo caso di duro ostruzionismo che, come ha affermato il presidente Napolitano, può rappresentare “una grave danno”, se non addirittura una “paralisi”, per il sistema istituzionale italiano.
Complice il clima caldo dell’estate, l’atmosfera è incandescente e un’altra settimana è passata senza aver concluso niente di nuovo. Le votazioni sono state cinque in tutto. Paolo Romani di Forza Italia appare quasi sconsolato: “Abbiamo cercato tutte le mediazioni possibili. Lo dico a chi oppone: ritirate gli emendamenti inutili”. Luigi Zanda del Pd – uno dei capigruppo che ha spinto per il contingentamento dei tempi – alzando i toni afferma: “non sarei voluto arrivare a questo punto, ma ho sentito pronunciare delle parole luride”; mentre nella riunione dei capigruppo il grillino Vito Petrocelli chiede a Zanda: “Quale sarebbe un numero accettabile?”. La replica del capigruppo dem è: “Qualche centinaio”, una replica che ha il sapore di una dichiarazione di guerra.
Tra governo e opposizione è sicuramente muro contro muro e il ministro Maria Elena Boschi veste per l’ennesima volta i panni della “signora no”: “Questo numero di emendamenti è un ricatto: o li ritirano o noi andiamo avanti”. Il leader di Sel, Nichi Vendola, giudica “sconcertante definire ricatto l’esercizio delle prerogative dell’opposizione” e unendosi al coro di tutti coloro che si oppongono alla riforma, o almeno al contingentamento dei tempi, afferma: “Non siamo ricattatori, ma certamente non siamo ricattabili”.
In sostanza la squadra di Palazzo Chigi teme d ritrovarsi tra un mese con l’ennesimo nulla di fatto e quindi preme sulle opposizioni portando avanti una guerra che il governo ritiene “giusta”. Renzi continua a raffigurare M5S, Sel e i vari dissidenti, tra cui quelli del suo partito, come dei sabotatori del cambiamento. “Potranno rallentare, potranno fare qualche scherzetto sul voto segreto e farci stare qui ad agosto – è la sfida di Renzi – ma qui non molla nessuno. Abbiamo la forza di milioni di italiani che dicono ‘ non mi sei simpatico ma ti voto’”. A proposito di voto segreto, il premier Renzi è inoltre sicuro di rifarsi alla Camera dove i deputati voteranno naturalmente con voto palese.
Il presidente Grasso ha concesso comunque il voto segreto sugli emendamenti che riguardano le minoranze linguistiche provvedendo, in ogni caso, a scorporare il voto (voto separato) qualora vi siano emendamenti che riportino materie diverse e sensibili. Una prova di equilibrio che conferma la volontà di Grasso di rivestire il suo ruolo super partes, negando di essere diventato “la bandiera del dissenso”. Le lodi provengono anche dall’opposizione, tantoché il leghista Roberto Calderoli ammette che “Grasso è stato bravissimo. Ha provato a farli ragionare”. Il presidente di Palazzo Madama ha infatti invitato i capigruppo a parlarsi nel fine settimana, “abbiamo tempo di raffreddare gli animi e far parlare la politica”, ha affermato Grasso, ma come ricorda Calderoli “è una sorta di predicatore nel deserto”.
Il fronte delle opposizioni ritiene comunque il contingentamento dei tempi della discussione un modo autoritario per ottenere ciò che sembra impossibile ottenere attraverso un normale dibattito. Non a caso il presidente Napolitano ha evocato il pericolo di una paralisi decisionale che vanificherebbe il lavoro svolto fino ad oggi.
La speranza che “il fine settimana porti consiglio”, espressa dal presidente del Senato, per ora sembra affogare nel vuoto. Lo scontro, per di più, si consuma non solo tra maggioranza e opposizione ma nello stesso Pd dove i dissidenti, tra cui Chiti, accusano il presidente del Consiglio di puntare ad elezioni anticipate. Per ora la riforma costituzionale, come i decreti in scadenza (Competitività, Cultura e Turismo) e la stessa legge elettorale, sono affossati nella palude parlamentare e si rischia di “finire in una buca”, come ha affermato Calderoli, che potrebbe essere anche la “buca” delle urne.
A ridosso del colloquio con il Capo dello Stato, il presidente Grasso ha sottolineato le difficoltà provocate da un ostruzionismo esasperato e Napolitano ha ribadito “il grave danno che recherebbe al prestigio e alla credibilità del Parlamento il prodursi di una paralisi decisionale su un processo di riforma essenziale”.
In questo frangente è quindi necessario uno sforzo di mediazione da parte di tutte le forze politiche: “Ricercare le più ampie convergenze in Parlamento su leggi di revisione costituzionale – ha affermato il presidente della Repubblica durante la consueta cerimonia del Ventaglio – ovviamente significa dialogare e cercare intese anche attraverso inevitabili mediazioni tra forze schierate su opposte posizioni politiche e in competizione tra loro nell’arena elettorale”.
Senza l’applicazione di “ampie convergenze”, il processo di revisione della seconda parte della Costituzione – come la riforma del lavoro, in un’Italia che non aggancia la ripresa, martoriata dalla piaga della disoccupazione – rischia di naufragare ancora una volta, prefigurando sullo sfondo l’ennesimo fallimento del confronto democratico e di quella politica che pare tanto ami “l’arena elettorale”.
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