Dove va il Sudafrica?
In Sudafrica si sono svolte nel Maggio scorso le quinte elezioni libere della sua Storia post-apartheid. In quell’occasione l’ANC (African National Congress) ha vinto con larga maggioranza, permettendo a Jacob Zuma di essere rieletto. Per questo possiamo affermare che la Nazione arcobaleno sia sulla retta via? Niente di meno sicuro. Al di là delle questioni politiche da risolvere, il Sudafrica deve affrontare gli spinosi problemi che riguardano le diseguaglianze sociali, la spartizione delle ricchezze e la violenza.
In questo contesto, le prospettive dell’elite nera dell’ANC, così come le “strade” della nuova politica economica, conducono il Sudafrica sulla via dell’alleanza con la Cina più che su quella di un’alleanza con i Paesi occidentali. Coinvolto in uno scandalo finanziario, Jacob Zuma costringe l’ANC a riflettere sulla possibilità di un passaggio di poteri a metà mandato, o al vice-Presidente, Cyril Ramaphosa, o alla sua ex moglie, Nkosazana Dlamini-Zuma, attualmente Presidente della Commissione dell’Unione Africana, ed ex Ministro degli Affari Esteri. Cyril Ramaphosa si impone come nuovo uomo forte del Paese. Nato nel 1952, fondatore del potente sindacato dei minatori affiliato all’ANC, il Cosatu, Rampahosa è anche una figura importante nel mondo degli affari sudafricano. Il suo patrimonio oggi vale 650 milioni di dollari. Cyril Ramaphosa è stato uno dei principali beneficiari nell’accaparramento dell’apparato produttivo da parte dell’élite nera dell’ANC alla fine dell’apartheid e uno dei difensori del capitalismo sudafricano, soprattutto minerario.
In un’Africa emergente, il Sudafrica rimane una potenza di riferimento per il Continente. Innanzitutto perché rappresenta sempre un quarto del PIL africano con un tasso di crescita medio del 5% l’anno. La sua rete di trasporti con il Gautrain, moderna ferrovia leggera di Johannesburg, sfruttata dalla società parigina RATP, la sua Borsa, la Johannesburg Stock Exchange, le sue centrali energetiche con la sola centrale nucleare del Continente, situata vicino al Capo, a Koeberg, ne fanno un Paese decisamente sviluppato. Il suo sottosuolo straripa di materie prime: oro, diamanti, metalli preziosi. Il Sudafrica dispone di multinazionali estremamente prospere e competitive. Su 100 grandi imprese africane, 61 sono sudafricane. Altro punto importante: in Africa, il Sudafrica è ancora la prima potenza politica e militare. Ciò detto, per continuare ad usufruire della strada lastricata della crescita elevata, il Paese dovrà investire massicciamente nel settore energetico. Di fatto, Pretoria pensa costruire sei reattori nucleari da qui al 2030. Ma l’economia sudafricana viene sottoposta alla concorrenza dei nuovi Paesi emergenti , soprattutto la Nigeria, diventata prima economia del Continente. In effetti, in seguito ad un cambio nel calcolo statistico, il PIL della Nigeria ha superato quello del Sudafrica, anche se rimane ancora molto in dietro rispetto al Sudafrica in termini di sviluppo o PIL per abitante: 2800 dollari contro 11500.
Il Paese governato da Zuma afferma la sua maturità democratica e la sua volontà di placare le tensioni razziali. La scommessa della riconciliazione è stata suggellata dal lavoro della Commissione Verità e Riconciliazione, con il Black Economic Empowerment (dal 1994 le grandi imprese hanno ceduto il 25% del loro capitale ai Neri) che costringe a delle quote di Neri per gli incarichi di responsabilità, infine con l’emergere di una nuova classe media urbana nera. Tutto questo ha profondamente cambiato la società sudafricana. Sul terreno però il Sudafrica continua ad essere un Paese dalle grandissime diseguaglianze. Sebbene ci siano grandi progressi in campi come l’elettrificazione e l’accesso all’istruzione, la parità nei salari non ha subito lo stesso incremento, anzi, dalla fine dell’apartheid non ci sono stati grandi cambiamenti. Il riassorbimento progressivo degli squilibri rimane la sfida maggiore per il Governo. Finora, l’ANC è riuscito a far vivere in simbiosi la formazione comunista dei suoi dirigenti e gli interessi capitalisti sudafricani. Formati all’epoca della Guerra Fredda dai sovietici, nei dirigenti sudafricani rimane l’imprinting di una certa ideologia comunista e sindacale, malgrado la loro conversione al sistema capitalista. I dirigenti dell’ANC prendono come modello l’evoluzione del regime cinese e la stretta mescolanza tra capitalismo e comunismo.
La concorrenza tra Cyril Ramaphosa e Nkonsazana Dlamini-Zuma apre la strada ad una generazione nera mondializzata. Rapresentano l’anima dell’ANC: militanza sindacale, successo capitalista, responsabilità pubbliche internazionali, nelle multinazionali per Ramaphosa, alla Commissione africana per la Dlamini-Zuma. Su questa strada universale, le élite sono più vicine alla Cina che all’Occidente, così come al sostegno dell’élite indiana, molto influente in Sudafrica. Oltre alle ideologie ci sono mire strategiche. Alla ricerca di materie prime per mettere in sicurezza la sua crescita, la Cina ha bisogno di un partner affidabile. Da parte sua, Pretoria cerca, in seno al G20, dei Brics. Per la prossima conferenza sul clima, il Sudafrica cerca un alleato di peso. La Cina e il Sudafrica dovrebbero dunque avvicinarsi quasi spontaneamente.
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