E’ made in Italy la plastica ecologica
Cinquecento tonnellate di plastica alla deriva nel Mediterraneo, tre milioni e mezzo in Atlantico, cento milioni di tonnellate nel Pacifico. Cetacei, pesci e animali marini intossicati o uccisi, e le loro carni avvelenate finite nel ciclo della pesca e dell’alimentazione umana, direttamente oppure indirettamente, trasformato in mangimi per gli animali di allevamento. Isole galleggianti di rifiuti plastici che hanno cambiato l’aspetto dei mari. Resti di sacchetti di plastica che costellano le nostre coste dopo ogni mareggiata. Ma ora tutto questo può cambiare. Non solo per i tanti progetti di raccolta della plastica in mare, frutto dell’ingegno di ricercatori di tutto il mondo, ma soprattutto grazie ad un’invenzione tutta italiana: la ‘bioplastica’. Un materiale che, se pure dovesse sfuggire alle maglie sempre più strette di raccolta differenziata e riciclo al quale è destinato, non inquina come la plastica tradizionale, perché è biodegradabile.
La ‘plastica che non inquina’ si chiama Mater-bi. Il materiale è stato concepito negli anni ‘90 nei laboratori della Novamont di Novara. Erano gli anni in cui nei campi si evidenziavano gli effetti negativi dei primi esperimenti di compostaggio: la plastica, finita nei rifiuti insieme agli scarti alimentari e quindi nel sistema di produzione del compost, costellava in mille microframmenti i campi dove il compost veniva sparso come fertilizzante. Il Mater-bi ha risolto quel problema, perché è un materiale concepito per essere riciclato come la plastica ordinaria, ma con caratteristiche di biodegradabilità tali da prevenire l’inquinamento se disperso nell’ambiente e renderlo adatto al compostaggio. Se finisce sul fondo marino, ad esempio, la plastica bio si disintegra in ‘soli’ 220 giorni, un indice di biodegradazione superiore dell’80 per cento a quello della plastica. Ma come mai?
La risposta che ci si aspetta è che la biodegradabilità della plastica ‘bio’ è dovuta alla materia prima tutta naturale. Ma non è così. Nel mondo sono presenti alcuni tipi di plastiche prodotte con materie di origine naturale, che però non sono adatte a tutti gli usi. Il Mater-Bi è una delle bioplastiche composte da materie prime vegetali, principalmente amidi, combinati con polimeri biodegradabili ottenuti sia da materie prime di origine rinnovabile che da materie prime di origine fossile. Come mai allora, se contiene componenti di origine fossile, il Mater-Bi è biodegradabile e le altre plastiche ottenute dai fossili non lo sono? Perché nel Mater-Bi il materiale ‘riproduce’ la struttura chimica riconoscibile dagli enzimi della biodegradabilità: una struttura formata da polimeri scomponibili in monomeri invece che da polimeri non scomponibili, quindi ‘indigeribili’ per gli enzimi. Ed i monomeri finali non risultano tossici per l’ambiente. Quindi, la biodegradabilità è totale.
La ‘sconfitta della plastica’, che pure un tempo è stata un vanto dell’industria nazionale, è un merito della moderna ricerca italiana che ha fornito al mondo un’altra soluzione ad un problema enorme come quello dell’inquinamento dovuto alla plastica. Un merito accompagnato dall’iniziativa legislativa con la quale il nostro Paese nel 2011 ha messo al bando i sacchetti in plastica tradizionali: l’Europa l’ha seguita, e alla fine della precedente legislatura ha votato un provvedimento in base al quale bandirà lo stesso tipo di sacchetti entro il 2019.
Dalla ricerca alle nuove norme sull’utilizzo della plastica, a cominciare dagli imballaggi: è la fine dell’era della plastica, dunque? Un’era che ha lasciato alle generazioni presenti e future un’eredità davvero scomoda: non solo gli indescrivibili ammassi del materiale che ‘vivrà’ ancora per decenni nelle discariche e nelle falde acquifere di tutto il mondo, ma anche l’accumulo, dal 1950 ad oggi, di vere e proprie isole galleggianti accumulate dalla costanza delle correnti marine: come quella del Pacifico centrale, grande come la Spagna e profonda trenta metri. Isole simili roteano come giganteschi vortici nell’Oceano Atlantico e in quello Indiano, e si stanno formando nel Mediterraneo tra Liguria, Francia e Spagna. Si tratta di una eredità materiale carica di problemi, primo fra tutti il fatto che lo stock di plastica più ‘antico’ è in fase di avanzata fotodegradazione, e quindi è più inquinante Ma è il mare, con le sue correnti costanti e convergenti, a fornire una soluzione. La plastica finisce in mare rilasciata da mille fonti, dagli scarichi fluviali alla dispersione di chi usa il mare come una discarica, fino alla perdita di migliaia di container stipati sopra il limite dello scafo delle navi cargo e perduti a causa delle tempeste. Ma il mare pazientemente la raccoglie e ce la restituisce aggregata in ‘isole’, in uno stato in cui è molto più facile raccoglierla economicamente per separarla e riciclarla. Sarebbe possibile effettuare raccolta e separazione sul posto attivando una filiera simile a quella della pesca, anch’essa organizzata con raccolta e separazione sul posto del pescato, che viene prelevato da navi a migliaia di miglia di distanza dalle basi a terra: a dimostrarlo sono i numerosi progetti già ideati in tutto il mondo. Di certo il problema è grave, ed è urgente che, oltre a limitare l’immissione di plastica in mare anche grazie al Mater.Bi, si mettano in campo strumenti ed incentivi per favorire la raccolta e lo smaltimento di questa ingombrante, inquinante e tossica eredità del passato.
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