Zinzocchi (3 Italia): come far bene Social Media Marketing
Secondo i principali studi di settore, il Social Media Specialist e l’Online Community Manager sono professioni in rapida ascesa. Questo perché se fino a qualche anno fa alle aziende bastava semplicemente “esserci”, oggi il web 3.0 ha nuovamente cambiato le regole d’interazione e fruizione aprendo la strada per una comunicazione sempre più paritaria, in cui diventa cruciale l’ascolto e la capacità di creare engagement. Per fare chiarezza sul tema e delineare uno scenario utile alla comprensione del fenomeno, Futuro Europa ha intervistato Rachele Zinzocchi, Social Media Manager di 3 Italia.
Qual è la giornata tipo di un Social Media Manager? Quali sono le principali incombenze che deve affrontare nel suo lavoro quotidiano?
La giornata tipo di un Social Media Manager incomincia la mattina presto con le attività di rassegna stampa e pubblishing (per ottimizzare i tempi sono in molti i professionisti, me compresa, che optano per la programmazione strategica dei contenuti). La rassegna stampa deve essere ampia, ma anche molto mirata così da fare una prima scrematura delle notizie da ricondividere sulle varie piattaforme ed evitare il cosiddetto overload informativo. Questa fase include anche l’attento monitoraggio delle conversazioni che avvengono su Facebook&Co. per capire di che cosa parla la gente e quali sono gli hot topics della giornata. Una volta individuate le news d’interesse, si passa alla pubblicazione vera e propria: non basta però solo rilanciare la notizia a mo’ agenzia stampa o pietra nello stagno, ma è necessario uno sforzo in più per personalizzare e rendere appealing il messaggio sia a livello di contenuto che grafico. La chiave del successo è rendere i contenuti ricondivisibili, far sì che abbiano una qualche utilità per il lettore (s’inseriscono in questo filone i post “how to…”), che regalino un’emozione (da qui l’importanza dello storytelling) o approfondiscano un tema (ad esempio ti spiego come incrementare i tuoi risparmi). Il bravo Social Media Manager riesce a fare pubblicità a sé o l’azienda di cui fa le veci, fornendo al contempo un servizio di utilità.
Proseguendo con la disamina delle routine aziendali, nel pomeriggio c’è una prima fase di reporting, che prevede un veloce allineamento con tutte le parti impattate in azienda (ufficio stampa, gruppo web di lavoro, ecc.). Parallelamente c’è un network in attività che lavora e che richiede di essere adeguatamente moderato. La regola numero 1 è interagire con il proprio pubblico di riferimento, instaurare una comunicazione e dialogare con loro proprio come farebbero due persone nella realtà offline. Ciò comporta gestione attiva dei commenti, interazione one-to-one tramite direct message, assistenza (customer care) e real time marketing (programmazione sì, ma anche un occhio vigile su quello che sta accadendo in Italia e nel mondo).
Come s’integra il social care con le attività più propriamente di social media marketing?
Il social care, inteso nell’accezione di fornire assistenza online, non si sostituisce alle consuete attività di editing e publishing dei post, ma anzi le va a integrare. Il Social Media Manager deve mettersi in ascolto della rete, drizzare le antenne per intercettare eventuali mentions, reply, commenti e ovviamente reagire di conseguenza, facendosi carico dei problemi riscontrati dall’utenza e inoltrando la segnalazione al reparto competente. Anche se la risoluzione richiede più tempo del previsto (l’attesa non deve ragionevolmente superare le 24 ore), occorre rassicurare il cliente, fargli capire che la voce non è finita nel vuoto ma che c’è qualcuno pronto ad ascoltarla.
Quali sono gli elementi che non possono mancare mai nel social care e viceversa gli errori da evitare per non incappare in un clamoroso #epicfail?
Nell’interazione con i clienti i brand devono coltivare i valori della trasparenza, fiducia e affidabilità, instaurare un rapporto basato su amicizia e ricorrenza, in cui anche i messaggi pubblicitari risultino disinteressati. In tal senso le tre C del Social Media Marketing sono Comunico, Coinvolgo, Curo. In base a questo approccio circolare, sono da evitare – o comunque ridurre al minimo sindacabile, se proprio non se ne può fare a meno – i risponditori automatici, che non consentono di avviare una reale conversazione con gli utenti. Bisogna ricordarsi che si ha a che fare con delle persone; per questo l’operatore responsabile del servizio di assistenza deve essere necessariamente affiancato da un comunicatore che si preoccupi di “confezionare” ad hoc la riposta. In questo modo, se ben gestiti, anche i disservizi possono trasformarsi in opportunità.
Un discorso a parte va fatto per i troll (i “disturbatori” della rete), che non cercano il confronto costruttivo, ma sono interessati solamente a scatenare flames e a prendersi gioco del Social Media Manager. Questi soggetti, che un recente studio paragona a psicopatici narcisisti in cerca di attenzioni, vanno evitati (altrimenti si avrebbe un inutile dispendio di tempo e risorse) o meglio ancora trattati con un’ironia spiazzante (Tesco Mobile docet).
Il Social Media Manager è stato annoverato fra le professioni del futuro. Perché in Italia siamo ancora in ritardo su questo fronte?
Rispetto ad esempio all’America, dove già da qualche mese i blog titolavano provocatoriamente “The Social Media Manager is dead” (Il Social Media Manager è morto), l’Italia è penalizzata da una mancata alfabetizzazione digitale. Inoltre, nel nostro Paese si è diffusa l’idea che tutti possano gestire con poco sforzo una pagina Facebook o di altro social network. In realtà per fare questo tipo di lavoro, occorre avere delle skills precise, molte delle quali non s’imparano sui libri ma sono innate. In questo senso, per emergere da un mercato “cieco” e sovraffollato, occorre assumere una specificità, far riconoscere la propria professionalità e distinguersi dal “cuggino” che si cimenta a tempo perso in queste attività senza avere le reali competenze per farle. Sui social media pesa, inoltre, l’incapacità di quantificare in maniera certa e precisa il ROI (Return on Investment): contrariamente a quanto in molti si ostinano a pensare, non si ha infatti un impatto diretto sulle vendite, ma nella maggior parte dei casi si tratta di benefici intangibili legati più a un discorso di brand awareness. Infine, vuoi per la crisi vuoi per la mancanza di coraggio, le aziende investono sempre meno e male, finendo per sottovalutare le opportunità di business derivanti da una corretta gestione dei social media.
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