Concordia, evitato il disastro ambientale
Oltre al dramma della perdita di trentadue vite umane, il naufragio della Costa Concordia avrebbe potuto provocare un disastro ambientale. Da subito si era temuto in primo luogo per i fluidi, come le 2.400 tonnellate di carburante, i lubrificanti e i clorurati, facilmente dispersibili nell’acqua marina. Poi per le vernici e le migliaia di batterie e componenti elettroniche della nave, dell’equipaggio e degli oltre 4.000 passeggeri. E dai primi giorni si era compreso che tre erano le fasi critiche durante le quali il rilascio di inquinanti nell’ambiente poteva essere avvenuto o avvenire: durante il naufragio vero e proprio, durante le mareggiate ed infine durante il trasferimento fino al porto scelto per la demolizione. Se si fossero verificata, la fuoriuscita di inquinanti dal relitto avrebbe toccato aree di pregio naturalistico come il Giglio stesso, l’arcipelago toscano, l’Elba, la Corsica e le acque del ‘santuario dei Cetacei’ del Mediterraneo. Ora che tutto è compiuto ed il relitto è ormai chiuso nell’arsenale di Genova, almeno per l’ambiente si può tirare un sospiro di sollievo.
Nei giorni immediatamente successivi al disastro, le associazioni degli ambientalisti avevano messo in allarme sui rischi imminenti. Greenpeace fece immediatamente riferimento ad un naufragio simile per quantità di inquinanti, l’affondamento della nave da crociera Sea Diamond a Santorini, avvenuto nel 2007. Per dare un’idea delle conseguenze possibili, Greenpeace avvertì che in caso di sversamento in mare degli inquinanti, il naufragio della nave italiana avrebbe provocato conseguenze otto volte più gravi di quelle dovute al portacontainer greco Rena: incagliatosi in Nuova Zelanda, il cargo provocò col suo inquinamento la morte di circa ventimila uccelli marini, oltre al deturpamento di decine di chilometri di costa.
Ecco perché intorno alla Concordia arenata, e ancor più intorno alla Concordia in viaggio per 370 chilometri in mare aperto, a breve distanza da coste di inestimabile bellezza, le preoccupazioni si sono addensate ed accentuate. Non si è trattato di semplici allarmismi: il governo Francese ha considerato molto seriamente i rischi per le coste incontaminate della Corsica. Il Ministro dell’Ambiente Francese Royal ha chiesto garanzie sulla sicurezza del trasporto, richiesta alla quale ha risposto il ministro all’Ambiente italiano Galletti. La Francia comunque ha fatto seguire le operazioni da una sua nave anti-inquinamento. Del resto, l’ormai famoso capitano Sloane, incaricato di dirigere i lavori, aveva dichiarato che il trasporto del Concordia sarebbe stata la sfida più complicata dal punto di vista professionale affrontata nella sua vita. Ma a seguito dell’intervento della Francia Sloane si è detto fiducioso sul risultato positivo del trasporto. Prima di arrivare al coinvolgimento di altre acque e di altri Paesi, il naufragio della Concordia aveva preoccupato per le conseguenze ambientali in ambito locale. Dopo il naufragio il relitto era stato sottoposto ad un continuo monitoraggio dalla protezione Civile e dall’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale della Toscana -Arpat, che con grande attenzione aveva seguito anche un’altra fase critica, quella della rotazione dello scafo. I monitoraggi sono stati effettuati sia nella fascia entro 100 metri dalla nave, sia dalla nave oceanografica Poseidon più al largo, dove le correnti avrebbero potuto portare inquinanti strappati dalla Concordia. Ma apparentemente il temuto rilascio di inquinanti non si è verificato.
Dunque missione compiuta per il Commissario delegato per l’emergenza Franco Gabrielli, per il capitano Sloane e per la società statunitense Titan Salvage, che ha collaborato con un’altra azienda italiana, la Micoperi in una gigantesca opera di ingegneria che per il solo trasporto ha coinvolto 22 mezzi navali, 8 chiatte, più di 500 persone. Un’opera con la quale l’ingegno di centinaia di uomini ha evitato le ulteriori e drammatiche conseguenze di uno sciagurato comportamento che ha portato alla perdita di trentadue vite umane.
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