Agricoltura, piace e non piace la nuova PAC
A parte il capitolo ‘terre ai giovani’, che ha ricevuto unanimi consensi, non è che la proposta italiana per la riforma della Politica Agricola Comunitaria (PAC) varata la scorsa settimana dal Governo Renzi abbia riscosso straordinari entusiasmi.
Com’è noto, la PAC come tanti altri strumenti di politica comunitaria, è il risultato di un ‘via vai’ di documenti tra Europa che propone, Stati membri che recepiscono e suggeriscono variazioni, e ancora Europa che chiude il testo definitivo. Il secondo passaggio, varato appunto dal Consiglio dei Ministri lo scorso 31 luglio, fa seguito al Regolamento UE n. 1307/2013 e contiene “scelte non banali”, come le ha definite il Ministro per le Politiche Agricole Maurizio Martina. Scelte “per rilanciare l’agroalimentare nazionale, come destinare 80 milioni di euro l’anno alle imprese condotte da giovani – appunto – con la maggiorazione del 25% degli aiuti diretti per 5 anni, ma anche escludere dagli aiuti europei banche, assicurazioni e società immobiliari e finanziarie.” Ma “’non è la Pac che avremmo voluto – ha confessato per primo il ministro Martina subito dopo l’approvazione del documento – ma abbiamo lavorato intensamente in questi mesi con le Regioni per trovare una sintesi delle esigenze particolari dei vari territori”. Già, ma è esattamente per questo, la rituale mediazione tra le parti ed i territori portata avanti dal Ministro, che invece della soddisfazione si registra l’insoddisfazione di alcuni addetti ai lavori del settore agroalimentare sulle decisioni del Governo. Ha detto ad esempio Luigi Scordamaglia, vicepresidente di Federalimentare e Assocarni, che la riforma della Pac è “il male minore su una materia che dovrebbe diventare competenza esclusiva dello Stato per evitare la solita lista della spesa da parte delle Regioni”. Per Scordamaglia “se questo Paese vuole fare dell’agroalimentare un settore trainante di tutta l’economia non può continuare a delegare le scelte strategiche del settore a venti Regioni in massima parte, salvo poche e illuminate eccezioni, interessate a fare scelte di piccolo cabotaggio e di miopi ritorni localistici; le scelte strategiche devono poter essere fatte a livello centrale considerando l’interesse complessivo e realmente strategico del nostro Paese, puntando su pochi e cruciali settori che abbiano realmente valore aggiunto e competitività globale”. Critiche al metodo ‘mediazione’ fra le Regioni ma anche alla non-scelta a favore di comparti produttivi ‘strategici, sono arrivate anche dal consorzio olivicolo Unaprol che con il direttore Pietro Sandali ha fatto sapere che “la platea dei beneficiari è stata estesa a dismisura secondo il costume italico di dare a tutti un po’ col risultato di vanificare un importante strumento di compensazione. Il tutto senza alcun reale beneficio per le aziende che – se tutto andrà per il meglio – si ritroveranno un aiuto supplementare di 50 euro a ettaro. Forse era meglio niente”.
E così il documento varato dal Governo Italiano a seguito di lunga discussione in tempo per la scadenza del 1 agosto, appare ad alcuni soggetti del settore agroalimentare più un elenco di buone intenzioni che un programma vero e proprio per il rilancio dell’agricoltura. Ma la responsabilità è in parte minore del nostrano metodo ‘contrattato’ e in larga parte della stessa PAC, uno strumento di politica economica inadeguato, stando almeno alla valutazione del presidente della Confederazione dei sindacati europei Confeuro Rocco Tiso: “L’intero sistema della Pac presenta delle falle a livello strutturale che ne pregiudicano l’efficienza –spiega Tiso – facendone uno strumento inadeguato a tutelare trasversalmente l’intero comparto agroalimentare europeo, con riferimento particolare ai piccoli e medi agricoltori che rappresentano una realtà di straordinario rilievo nell’economia dell’Unione, oltre che italiana”. Compito del ministro Martina e del Governo, secondo il presidente dei sindacati europei, è ‘assicurare la piena attuazione delle misure e intervenire in modo da compensare le pericolose lacune della Pac, in particolare nei confronti dei piccoli e medi agricoltori”.Lo stesso Tiso ha definito quelle a favore degli under 40 misure che, “lungi dall’essere sufficienti per una vigorosa ripresa del settore, rappresentano segnali positivi nella direzione di un rivolgimento ai giovani che auspichiamo da tempo”.
Ma l’inquietudine maggiore la solleva il giudizio delle parti più direttamente coinvolte, gli agricoltori, e per un diverso e ben più importante ordine di ragioni. Coldiretti infatti, che certamente è impegnata sul territorio anche con l’approccio ‘localistico’ criticato al Governo dagli operatori del settore agroalimentare, ha affermato per bocca del presidente Roberto Moncalvo che “è’ importante e significativa l’approvazione in Consiglio dei Ministri dell’accordo politico sull’attuazione in Italia della Politica Agricola Comune per sostenere l’enorme potenziale di sviluppo che l’agricoltura italiana può offrire al Paese. E’ ora necessario – ha però precisato tuttavia Moncalvo – che tale documento venga tradotto quanto prima in un decreto per dare consistenza e operatività a una riforma della politica agricola comune che vale complessivamente 52 miliardi di euro per i prossimi sette anni. L’accordo raggiunto approvato dal Governo dopo l’intesa con le Regioni assicura un sostegno ai settori portanti della nostra agricoltura e, con esso, garantisce quelle produzioni su cui si fonda lo straordinario successo del Made in Italy alimentare, creando occupazione e sviluppo sul territorio.” Tradotto: dalle parole si deve passare ai fatti. Detto dai primi destinatari della PAC, i coltivatori diretti. La Copagri, poi, si è unita al ministro Martina nel dire che “non è la riforma Pac ideale ed ha ribadito che “ora bisogna pensare ad attuarla nel modo più funzionale per gli agricoltori”. Sulla stessa lunghezza d’onda la Confagricoltura, che avrebbe voluto scelte più coraggiose soprattutto sul fronte degli aiuti accoppiati, ma che ora attende il 2017 per vedere gli effetti delle misure e fare eventuali correttivi. Insomma, quella varata dal Governo Italiano entro i limiti normativi e politici nel quale ha dovuto agire è una proposta di riforma della PAC che ha dato un ‘messaggio’ positivo soprattutto con il pubblicizzatissimo intervento a favore dei giovani, ma che stenta a costituire un sostegno concreto per il settore e necessita ancora di grande impegno istituzionale ed amministrativo per diventare un autentico volano per il settore più promettente della nostra economia: il settore agroalimentare.
E mentre l’Istat rende noti i dati negativi sul Pil per il secondo trimestre (l’ultimo dato positivo risale al governo Letta e fu annunciato un attimo prima dell’improvviso insediamento di Renzi), il presidente della Confederazione Italiana Agricoltori CIA Dino Scanavino osserva corrucciato che ‘dal calo del Pil non si salva alcun settore produttivo, neanche l’Agricoltura”.
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