Cronache dai Palazzi

Dieci punti e dieci programmi per trasformare il Paese. In una lettera inviata metaforicamente a tutti i cittadini il presidente del Consiglio chiede fiducia per i prossimi “Mille Giorni”, “per disegnare un’Italia diversa, più efficiente e più competitiva”. Per Matteo Renzi il governo non traballa e non si fa condizionare dalla “recessione tecnica” proclamata dall’Istat: due trimestri con il segno meno, nessun segnale di ripresa, una domanda interna statica o in discesa, lo spread che torna a fibrillare.

La riforma costituzionale e la riforma elettorale sono i pilastri della ristrutturazione politica: da un lato la fine del bicameralismo perfetto, il riequilibrio del ruolo delle Regioni e l’abolizione degli enti inutili; dall’altro, la garanzia di un vincitore e la stabilità per chi vince, anche se soglie e preferenze rappresentano dei nodi ancora da sciogliere.

Tra le dichiarazioni di voto al provvedimento di revisione costituzionale votato ieri dal Senato, da segnalare quella contraria del Presidente dei Popolari per l’Italia Mario Mauro che ha tra l’altro affermato nel corso del suo intervento in Aula: “Nel confermare il mio dissenso sull’impianto di questa pretesa riforma della Costituzione mi assumo la responsabilità di aver usato espressioni come: deriva autoritaria. Che non significa, come ci si è affrettati a dire, che si ritengono i presidenti del consiglio di oggi e di ieri dei despoti, ma che, più giustamente, ci stiamo dando delle regole che riducono i nostri spazi di democrazia e di libertà”. “Negli sprazzi di dibattito consentito – ha aggiunto il Sen. Mauro – non solo non sono venute meno le perplessità sugli equilibri fondamentali legati ai temi come l’elezione del Presidente della Repubblica, dei membri della Corte costituzionale e del Csm, ma si sono anzi acuiti, mostrando che la logica che ci guida in questo momento non è lo spirito costituente, ma quello dello struzzo che nasconde il capo sotto la sabbia”.

In merito alla Riforma elettorale, “L’Italicum parte seconda” – licenziato da Renzi e Berlusconi, coadiuvati dai consiglieri Guerini, Lotti, Verdini e Gianni Letta – prevede innanzitutto l’innalzamento della soglia (dal 37% al 40%) per aggiudicarsi il premio di maggioranza: una richiesta degli azzurri che incontrerebbe il beneplacito dei grillini e che Renzi accetterebbe. A proposito di soglie si prevede inoltre un abbassamento dal 4,5% al 4% per i partiti in coalizione, mentre per i partiti non coalizzati ci si dovrebbe accordare sull’8%. Ma il rovo più spinoso è rappresentato dalle “preferenze”, tantoché sembra sempre più probabile la possibilità di lavorare attorno al famigerato “Toscanellum”, il sistema di voto adottato dalla Regione Toscana che prevede un mix tra liste bloccate e preferenze. Passata la prima lettura alla Camera, dopo la pausa estiva la riforma del sistema di voto approderà a Palazzo Madama.

La revisione della spesa pubblica inoltre non si può rinviare e rappresenta “ontologicamente una questione politica”, afferma il premier. La sfida educativa, invece, presuppone “un disegno organico di riscrittura e riscoperta” che coinvolgerà la Rai, la scuola e il sistema della cultura. A fine mese, in particolare, partirà una riflessione sulla scuola (sulla scuola media in primo luogo) sul rapporto tra formazione e lavoro. Sul piano amministrativo emerge la riforma del lavoro e dopo l’approvazione del decreto Poletti è ora necessario accelerare il disegno di legge delega; la riforma della Pubblica amministrazione presuppone invece di “uscire dalla cultura del certificato per reimpostare il rapporto cittadino-macchina pubblica”. Il decreto Madia è in approvazione e il disegno di legge delega inizierà a breve il proprio iter.

La riforma del fisco e la riforma della giustizia sono altre due spine nel fianco. Presto entrerà in scena la dichiarazione precompilata, ma è assodato che la riduzione delle tasse per i ceto medio bassi per 10 miliardi e la riduzione del 10% dell’Irap non bastano a rimettere in moto la ripresa. Come ha ammesso anche il numero uno dell’Eurotower, Mario Draghi, tra le priorità c’è anche il taglio del carico fiscale. “Questi Paesi devono abbassare le tasse – ha affermato Draghi riferendosi ai Paesi che devono fare le riforme – sono i Paesi con il più alto livello di tassazione in un’area in cui le tasse sono le più elevate del mondo”. Nel 2015 “riduciamo ulteriormente la pressione fiscale”, assicura a sua volta Renzi, che aggiunge: “il prossimo anno ridaremo tra i  10 e gli 11 miliardi. Non ci sarà nessuna manovra anticipata, solo proseguiremo con i tagli alla spesa”. Con il decreto “Sblocca Italia” – un provvedimento di legge che contiene misure sull’efficientamento energetico, sulle reti digitali e sulle semplificazioni burocratiche – l’esecutivo mira inoltre a “rendere operativi gli interventi infrastrutturali troppo spesso fermi”. Tutto ciò sarà in Consiglio dei ministri il 29 agosto.

In sostanza il governo chiede agli italiani un ulteriore scatto di fiducia e di pazienza per “un lavoro puntuale e puntiglioso di ripartenza del sistema. Non una serie di annunci spot”. “Il nostro obiettivo è cambiare l’Italia – blandisce ancora una volta Renzi – la nostra scommessa è cambiare le regole del gioco. Costituzione, legge elettorale. Avere un profilo più marcatamente mediterraneo e africano nella politica estera. Un grande investimento su cultura e educazione. E un’operazione sulla spending. Con questi cinque punti la politica torna ad essere degna di questo nome”, afferma Renzi intervistato dal Il Messaggero.

I dati negativi sulla crescita che prefigurano un’Italia in discesa – meno 0,2% del Pil nel secondo trimestre del 2014, dopo lo 0,1% in meno registrato nel primo trimestre, mentre la diminuzione su base annua è ancor più pesante: meno 0,3% – “non devono portarci alla solita difesa d’ufficio ma dobbiamo avere il coraggio e la voglia di guardare la realtà”, affermano da Palazzo Chigi. L’Italia può farcela ma per uscire dalla crisi “deve cambiare. Se non cambia sarà sempre negativa. I Mille giorni sono un arco di tempo che consente una strategia globale”, assicura la squadra di governo. La sfida è doppia: da un lato occorre richiamare la politica al proprio ruolo; dall’altro è necessario intervenire sulle principali amministrazioni dello Stato con “riforme strutturali”.

A proposito di riforme strutturali, la Bce ha lanciato l’ennesimo monito ai Paesi dell’Eurozona e quindi anche all’Italia, reclamando una “cessione di sovranità” all’Europa. “Per i Paesi dell’Eurozona è arrivato il momento di cedere sovranità all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali”, ha ammonito il numero uno della Bce, Mario Draghi, che chiede inoltre di “non disfare i progressi fatti nel consolidamento di bilancio” con misure favorevoli alla crescita.

Il presidente della Bce pone l’accento sullo scarso coraggio nel riformare i Paesi e segnala i rischi al ribasso per la ripresa delle tensioni geopolitiche. “Uno dei componenti del basso Pil italiano è il basso livello degli investimenti privati”, sottolinea Draghi, e il tutto è dovuto “all’incertezza sulle riforme, un freno molto potente che scoraggia gli investimenti”, frenati in particolare “dall’assenza di riforme strutturali sui mercati dei prodotti, del lavoro e a livello giuridico e burocratico. Tutte queste riforme farebbero sentire rapidamente i loro effetti”, puntualizza Draghi. “I Paesi che l’hanno fatte hanno registrato dei miglioramenti e l’occupazione è aumentata”.

Cambiare l’Italia vuol dire quindi ‘riformare’ il Paese e il premier Renzi afferma di condividere le parole di Draghi, sottolineando che “abbiamo bisogno di rimettere in ordine l’Italia per farla diventare più competitiva”. Le riforme dovrebbero servire a questo, ma per il premier italiano la cessione di sovranità non deve essere comunque “una cessione di sovranità sulle riforme”.

In particolare, la riforma costituzionale – circoscritta all’abolizione del bicameralismo perfetto, del Cnel e alle nuove norme del Titolo V, escludendo quindi l’elezione diretta del capo dello Stato – la riforma del sistema di voto, la riforma della Pubblica amministrazione, la riforma della giustizia civile e del sistema fiscale, ed infine la spending review, sono tutti cantieri aperti e rappresentano i provvedimenti più urgenti per far sì che l’Italia torni “a crescere e a volare”, riacquistando nel contempo credibilità anche in Europa.

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